Grazie a quale fonte energetica i sardi accenderanno la luce il primo gennaio 2026? È la domanda delle domande e la data non è buttata lì per caso. Come dicono quelli che ne sanno o fingono di saperne, entro il 2025 conosceremo il phase-out. Sarà completato il piano di decarbonizzazione della Sardegna: le grandi centrali di Fiumesanto e Portovesme non potranno più produrre corrente bruciando carbone. Consoliamoci con il fatto che risparmieremo milioni e milioni di tonnellate di CO2, ma qualcuno ci dica qual è l'alternativa alle candele, a casa e nelle attività produttive.

La data del 2025 non è scritta nelle stelle, ma nell'ultima versione del Sen, Strategia energetica nazionale, la bibbia aggiornata dai profeti dello Sviluppo economico e dell'Ambiente, a libro paga dei ministri di turno. Per salvare il mondo tutti guardiamo al mix di energie rinnovabili. Ma, si legge nel Sen, non possono certo bastare per far muovere la locomotiva (sic!) Sardegna. Nel rapporto di Snam, Terna e Cassa depositi e prestiti sulla "transizione energetica", si evidenzia come nell'Isola la produzione di energia dal vento si fermi al 10%, quella dal sole (fotovoltaica) al 4. La media nazionale, in un caso e nell'altro, sfiora il 20. Non fingiamo di essere sorpresi, anche pensando a un certo ambientalismo salottiero a caccia di visibilità. Certo, le pale eoliche sono proprio brutte. E quei pannelli piantati a perdita d'occhio? Per carità. Resta in campo il metano. Ce ne parlano da quando eravamo bambini. Poi Prodi, D'Alema, Berlusconi, Pili e Soru firmarono accordi strategici per portare il gas dall'Algeria, ma è tutto naufragato in mezzo al Mediterraneo. Vanno avanti i progetti per i depositi costieri di Gnl, gas naturale liquefatto, da trasportare via mare sino a Santa Giusta (i lavori procedono), Cagliari e Porto Torres. Come distribuirlo? Ci sarebbe la dorsale, una rete di 580 chilometri da sistemare sotto un metro e mezzo di terra. Snam (si legge Eni) ha i nullaosta e i soldi. Ma agli ambientalisti non piace. Alcuni, fanno notare, sarebbe anche a rischio-esplosioni. Meglio, pensate un po', centinaia di gasiere che vanno su e giù lungo la 131. E la politica? Salvini voleva portare il metano persino con le mongolfiere. Ma ai Cinque Stelle (un po' come per la Tav, la Tap e l'Ilva di Taranto) non piaceva e non piace: la dorsale è un'opera superata. "Obsoleta", per dirla con il fu ministro Toninelli. Di conseguenza, anche se i soldi ci sono, meglio rimodularli verso opere più utili. La dorsale potrebbe piacere a Renzi, ma questo è un altro film. In Sardegna spingono per il "tubone" le organizzazioni sindacali e l'assessore all'Industria. La presidenza, sul progetto, era e resta tiepidina. In questo quadro quanto meno confuso Terna e Cassa depositi e prestiti (cugini di Stato di Snam-Eni, quelli pronti a fare la dorsale) lavorano a un elettrodotto sottomarino tra Sicilia e Sardegna che costerebbe il doppio (2,6 miliardi) della rete di distribuzione del gas. Ai Cinque Stelle piace.

Nei nostri salotti, nel chiacchiericcio attorno a pale, pannelli, dorsali e CO2, può essere che si tessano le lodi di monsieur Macron che, bontà sua, vuole anticipare al 2022 l'uscita dal carbone. Quanto alla dismissione delle centrali nucleari, che pesano per il 70% sulla produzione energetica francese e sono giusto dietro casa nostra, se ne parlerà a babbo morto. Ma, in fondo, a Parigi c'è il precedente illustre di quella madame che, sorpresa dalla richiesta di pane, proponeva che si dessero alle brioche.

Noi, sommessamente, chiediamo solo se, aspettando la notte di San Silvestro del 2025, dobbiamo fare scorta di steariche.

Emanuele Dessì
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