Se questa energia è nell'aria deve avere un nome, se questa febbre è un virus bisogna battezzarlo e studiarlo, se avete capito di che parlo, e stiamo discutendo di lei, chiamiamola pure: Cagliarimania.

È già accaduto una volta, nella storia, adesso, nell'anno del centenario - come per una alchimia che unisce destino e magia - la storia si ripete. Si può chiamare anche euforia collettiva, si può chiamare passione di massa, in fondo è solo uno stato d'animo diffuso, positivo e condiviso. E si scatena in un momento esatto.

È quello in cui tua moglie, che fino a ieri vedeva il calcio come un feroce nemico, e te sul divano davanti a Sky come un criminale, improvvisamente si interessa alle gesta del Ninja, gioisce per i suoi gol, e lo considera un uomo generoso e romantico ("È tornato anche per sua moglie").

Cagliarimania è una scintilla che si sprigiona quando anche chi non si è mai interessato al calcio dice: "Speriamo di arrivare al decimo risultato consecutivo". Cagliarimania si riproduce quando anche Alitalia inizia ad accorgersi che aumentano i voli di ritorno dei sardi in Continente in occasione delle partite casalinghe, si saturano i posti e bisogna aumentare i voli. Cagliarimania deflagra - letteralmente - quando in sole cinque ore vanno esauriti tutti i biglietti del supermatch contro la Fiorentina, file di tifosi che tornano a casa a mani vuote ma senza incazzarsi ("Fa nulla, andremo al bar").

Cagliarimania è una modificazione delle proporzioni e degli spazi, al punto che adesso la Sardegna Arena, lo stadio gioiellino, diventa improvvisamente troppo piccolo, ha bisogno di crescere in fretta. La stessa società che realizzò il miracolo di far nascere il nuovo stadio in un parcheggio come un fungo - in sessanta giorni - adesso coltiva il progetto di ampliare gli spalti: tremila posti in più (se permessi e tempi lo consentono, visto le 23 diverse autorità che si devono esprimere), il massimo che si può fare senza gravare la struttura e rispettando i parametri di sicurezza. Tuttavia questi duemila posti, sommati agli altri sono abbastanza per proiettare il piccolo grande stadio sulla dimensione di una squadra che in casa non ha più soggezione di nessuno. Cagliarimania ovviamente sono le tantissime magliette rossoblù in più che girano in tutto il mondo (più 20% rispetto allo scorso anno), mai così tante.

E Cagliarimania è una febbre che supera i confini dell'isola per arrivare - ad esempio - in un locale del nord Italia dove improvvisamente, quando entra Rolando Maran si applaude e si inneggia al mister. Aneddoto esilarante. Maran non aveva il portafoglio a portata di mano e mentre lo acclamavano sussurrava alla figlia: "Senza farti vedere dai cento euro al cassiere per pagare da bere a tutti". E lei: "Papà io non posso". E lui: "Ma certo che puoi, figurati se ti notano!". E lei, sconsolata: "Non posso perché non ho i cento euro!". Così il mister ha dovuto recuperare la giacca per poter offrire.

Cagliarimania - se ci si attrezza - saranno più turisti questa estate, con lo sviluppo di un modello Barcellona, dove la squadra diventa una delle attrattive della città. Cagliarimania sono gli scommettitori che giocano contro il Cagliari convinti che la sua serie positiva sia solo un miracolo contro la statistica (iettatori, cugurrás, sarete smentiti).

Cagliarimania sono le prodezze di Olsen ("È la prima volta che faccio una parata di nuca"), la grinta commovente di Pisacane ("Per me è un sogno, vorrei solo essere più giovane!"), è il recupero-miracolo di Faragó dall'infortunio al gol ("Sono un uomo del sud e sento che la mia Calabria confina con quest'Isola"). Cagliarimania è una luce nel tempo della crisi, un gioco di società, ma anche un possibile volano economico. Cagliarimania sono le dita incrociate, anche stamattina, alle 12.30. Perché i sardi questa gioia se la meritano: ma se qualcosa dovesse andare storto non se la prenderanno con nessuno. Perché Cagliarimania non finisce con una partita. Cagliarimania è un lungo anno in cui non smetteremo mai di soffrire. E sognare.

Luca Telese

GIORNALISTA E AUTORE TELEVISIVO
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