Se non vogliamo prendere la Germania come esempio non facciamolo, però andiamo almeno a vedere cosa succede lì. Dalla Baviera fino al Mare del Nord, nei supermercati la plastica non viene criminalizzata ma valorizzata. Nei market esistono macchinette che ingurgitano quantità industriali di bottiglie di vetro e di plastica e restituiscono uno scontrino che garantisce uno sconto alla cassa, una volta finita la spesa, o addirittura soldi cash. Da noi, invece, come sappiamo infuria il dibattito sulla tassa sulla plastica e in particolare sugli involucri monouso.

Un euro a chilo, secondo quanto previsto dalla bozza di legge di Bilancio (che però dovrebbe essere modifica con un alleggerimento della tassa), che peserà sui produttori non solo di plastica ma anche di tetrapak. Benissimo ridurre l'utilizzo della plastica, ma perché farlo in questo modo colpendo alla fine i consumatori, che saranno come al solito l'anello debole della catena e dovranno farsi carico alla fine dei maggiori costi? E poi, si tornerà ai contenitori da riempire? Può essere una soluzione, ma garantiscono la stessa igiene degli involucri usa e getta e sono riciclabili come la plastica?

Su questi argomenti bisogna ragionare con calma e non con la pancia e lo sguardo rivolto alla necessità di fare cassa. Partiamo dai numeri: l'Italia è il secondo produttore europeo di plastica e mette insieme circa 4 milioni di tonnellate di rifiuti, l'80% dei quali provenienti proprio da imballaggi. Secondo il Wwf, che ha stilato un rapporto dal nome indicativo "Fermiamo l'inquinamento da plastica", un milione di tonnellate viene avviato al riciclo, mentre 2,5 milioni finiscono in discariche o inceneritori e il resto non viene neppure raccolto. Queste cifre dimostrano che il problema non è l'uso ma il riciclo che si ferma a un quarto della produzione. Perché non arrivare a percentuali più alte, posto che la maggior parte della plastica prodotta è riciclabile (lo dice il Consorzio Corepla, come facilmente si evince anche con una semplice ricerca su Internet)? E soprattutto anche la bioplastica prima o poi diventerà un rifiuto.

Il punto sta proprio qui: noi non ricicliamo abbastanza. E anche ciò che non viene immesso nuovamente in un'economia circolare, oggi può diventare una risorsa. Se la plastica viene pagata come un bene raro quando la si manda al riciclo, difficilmente finirà in mare perché non sappiamo cosa farne. In altri termini, se invece di tassarla, la facciamo diventare un bene da cui ottenere risorse, tutti saranno incentivati a promuoverne il riciclo, senza alcuna penalizzazione per imprese e consumatori.

Se non vogliamo proprio imitare la Germania, possiamo guardare un po' più a Nord: la Danimarca, nei mesi scorsi, ha inaugurato un impianto di termovalorizzazione a Copenhagen, costato circa 670 milioni di euro, all'avanguardia. Non produce emissioni, brucia tutto quello che passa all'interno ottenendo energia che poi viene utilizzata dalla comunità e i danesi si sono spinti fino a realizzare una pista da sci in materiale sintetico (grazie anche alla tecnologia italiana) sul tetto in pendenza dell'impianto. Per sciare su quella distesa verde si paga e si ottengono altri soldi.

Insomma, i rifiuti possono essere una risorsa a patto che non vengano demonizzati i termovalorizzatori o i sistemi moderni per il riciclo e il riuso. Anche perché oggi esistono sistemi moderni e tecnologie che non inquinano. Altro che tasse, se investissimo in questo, lo Stato potrebbe incassare denari dai rifiuti, non tassandoli, ma promuovendo nuove attività che pagano le imposte e danno lavoro. Basta solo avere un approccio diverso e non pensare che un nuovo balzello possa cambiare le abitudini degli italiani di buttare la plastica in discariche abusive o in mare. Per questo servono altre politiche. Se quel materiale diventa una risorsa, nessuno se ne disferà più a cuor leggero.

Giuseppe Deiana
© Riproduzione riservata