Oggi si vota in Umbria e nessuno pensa che il governo possa cadere sul risultato di questo voto. Ma tutti sanno che questo è un test per Palazzo Chigi e chi immagina che da domani la sceneggiatura possa essere diversa non è lontano dalla realtà.

L'Umbria comunque vada sarà uno spartiacque. Vediamo perché in due flash.

1) Un'affermazione della coalizione di governo sarebbe una sorpresa - contro tutti i sondaggi che abbiamo visto fino a ieri - e un incoraggiamento a proseguire nell'esperimento dell'alleanza, anche sul territorio, tra Cinque Stelle e Pd. Per la Lega e l'impegno profuso da Salvini in queste settimane di campagna elettorale sarebbe un colpo duro. Questo scenario appare remoto.

2) L'esito più probabile è quello di una vittoria del centrodestra. In questo caso sarà importante vedere il distacco dal centrosinistra per misurare l'impatto della vittoria e della sconfitta. Un forte distacco potrebbe aprire una crisi non dichiarata (tra l'altro già serpeggiante e visibile) nella coalizione di governo.

Una vittoria contenuta, sarebbe sempre un brutto segnale, ma ancora gestibile sul piano dei rapporti nella maggioranza.

Piaccia o meno, il voto in Umbria è un crocevia. Il governo ha poche settimane di vita, è in carica dal 5 settembre, ma è già partita una guerra di logoramento al suo interno. La prova plastica è arrivata proprio dall'Umbria, da una foto scattata a Narni, l'immagine di Nicola Zingaretti, Roberto Speranza, Luigi Di Maio e Giuseppe Conte. Mancava Renzi. È quest'assenza il buco nero della maggioranza.

È ben visibile l'orizzonte degli eventi e si capisce che il rischio di collisione è enorme perché Renzi con la sua assenza marca la distanza, sta dicendo agli elettori che lui e il suo partito sono qualcosa di diverso pur essendo parte fondamentale della coalizione di governo.

È un paradosso ma la vita e la politica sono in perenne cortocircuito. Domanda sul taccuino: diverso da cosa? Dal nocciolo radioattivo della politica del governo, un masso di kryptonite che lo sta fiaccando. Il governo ha varato una legge di Bilancio ipotecata dalle clausole di salvaguardia sull'Iva (23 miliardi), al suo interno ci sono una serie di norme su evasione e contante, gabelle di vario genere, che tradiscono un'impostazione ideologica della manovra.

Siamo di fronte a una politica del rancore che colpisce i ceti produttivi medio-piccoli, il popolo delle partite Iva, soggetti considerati dai Cinque Stelle (e purtroppo anche dal Pd) come degli incalliti evasori fiscali. Non è in discussione la lotta all'evasione (che sarebbe da unire a una riforma del Fisco e applicazione rigorosa dello Statuto del contribuente), ma il pre-giudizio che appare lampante nella comunicazione quotidiana degli esponenti del governo.

Al Torquemada fiscale va aggiunta un'idea di sistema giudiziario - basta leggere cosa dice il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede - in cui con la riforma della prescrizione l'imputato rischia di restare sotto processo a vita.

Si tratta di una barbarie che l'Unione Camere Penali, la più autorevole associazione dei penalisti italiani, ha definito in tre parole: “Imputato per sempre”.

Questa politica del rancore impatta contro le aspettative del ceto medio che dalla grande crisi del 2008 si ritrova in un mondo dove ruggiscono i leoni, sono le conseguenze inattese della globalizzazione.

Spaesato, inquieto, impaurito, il contribuente italiano è catapultato in un mondo ostile, senza protezione, con il suo peggior nemico che in realtà dovrebbe essere il suo baluardo: lo Stato.

In queste condizioni, con questo programma, nessun governo (di qualsiasi segno sia) può pensare di riscuotere la fiducia degli italiani. Il voto dell'Umbria è importante perché comincia a misurare l'impatto di questa linea politica.

Al netto dei fattori locali, ci dirà quanto la maggioranza giallo-rossa è distante o vicina alla pubblica opinione. Vince? Andrà avanti. Perde? Comincia lo scaricabarile. Subito dopo il voto, quella foto dei leader della maggioranza con un grande assente (Renzi) apparirà come una premonizione.

Mario Sechi

(Direttore dell'Agi e fondatore di List)
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