In questi giorni si va a definire la manovra finanziaria dello Stato. Nelle disposizioni della legge di Bilancio e nei provvedimenti di accompagnamento si capirà con maggiore esattezza se anche questa manovra sarà per la Sardegna un altro passo verso l'impoverimento economico e sociale.

La lettera trasmessa dalla Commissione Europea, con tono garbato, comunque solleva perplessità. Critica il documento programmatico di bilancio (DBP) per il 2020 in merito alla conformità dell'espansione fiscale, alla variazione del saldo strutturale nell'anno di riferimento, all'andamento del PIL, e al tasso di crescita nominale della spesa pubblica primaria. Tutte questioni di ieri e di oggi, che fanno dire alla Commissione che l'Italia, al netto della flessibilità finanziaria concessa, non rispetta, ancora, il parametro per la riduzione del debito e devia dall'adeguamento fiscale raccomandato. Quelle osservazioni mirano ad ottenere dal Governo nuovi "chiarimenti".

Tutto questo in una manovra che non affronta, neppure timidamente, le permanenti problematiche italiane sul fronte economico e sociale. L'assenza di lavoro, la debolezza di salari e stipendi, il differenziale di sviluppo, di infrastrutturazione materiale e immateriale tra Nord e Sud, le nuove e vecchie povertà, il crollo culturale e l'ampia dispersione scolastica, l'emergenza idrogeologica del territorio.

La Sardegna, inoltre, rimane colpita anche dagli svantaggi derivanti dall'insularità, dall'oneroso prelievo annuale, come contributo alla finanza pubblica, che effettua illegalmente lo Stato dal Bilancio regionale, nonostante le pronunce della Corte Costituzionale.

E poi il dramma dei trasporti interni, persone e merci, e da e per l'Isola, la disoccupazione elevata e la desertificazione industriale. A tutto questo, aggiungiamo la difficoltà dei nostri limiti. Quelli di sempre, e che riguardano la politica, le burocrazie istituzionali, il sistema pubblico nel suo insieme e non solo.

Vi è una responsabilità collettiva che condanna la Sardegna e i sardi nel campo della mediocrità, e rende tutti noi incapaci di reagire. E poi vi è il dibattito di queste settimane, quello in Parlamento e nei media. Quello delle scelte che conseguono alla comunicazione politica in cerca del favore dei sondaggi.

Non conta ciò che serve o quello che è possibile fare. Non si sviluppano i progetti necessari, che prevedono tempi medio/lunghi, ma si definiscono misure tampone e si pensa come gestire il consenso del presente.

In questo quadro vi è spazio per una domanda. Dove sono le forze della sinistra, quelle che per il popolo rivendicavano più lavoro, più case, più scuole e più ospedali, al posto delle caserme e delle prigioni?

In questi anni alla crisi economico finanziaria ricorrente, al blocco dei salari, degli stipendi e delle pensioni, alle difficoltà della vita quotidiana si è risposto con l'odio verso l'altro - immigrato o emarginato - con normative di riduzione degli spazi di libertà democratica e con l'inasprimento delle pene detentive.

Tutto ciò non solo è inutile a risolvere i problemi, è oggettivamente male.

LUCIANO URAS

EX SENATORE
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