"Non sono sereno". L'ha detto ieri in un'intervista al Corriere della Sera il premier Giuseppe Conte. Il riferimento a Matteo Renzi non è casuale: l'ex segretario del Pd, oggi leader degli Scissionisti, è la mina vagante della nuova maggioranza giallorossa.

Renzi non nasconde questo suo ruolo di bomba a orologeria che fa tic tac in toscano, anzi se ne fa vanto negandolo e pur esprimendo a ogni piè sospinto il proposito di dare continuità alla legislatura (alla legislatura, non per forza al governo) Renzi esprime come testo e sottotesto il fatto non banale che possiede la golden share sul governo: lo ha fatto nascere e può mandarlo al patibolo suonando stornelli. Stai sereno, appunto.

Renzi ha dato vita ai suoi gruppi parlamentari alla Camera e al Senato, ha lanciato un nuovo marchio sullo scaffale del supermercato politico, Italia Viva, e nonostante l'ironia di qualcuno che lo vede già zombificato (e dunque morto-non-morto) gode di uno stato energetico eccezionale visto che ogni giorno monopolizza il dibattito del Palazzo.

Questo scenario ad alto voltaggio, si capisce, è un vento gelido che entra nelle stanze del Partito democratico e nella segreteria di Nicola Zingaretti, il quale è avvolto in una ragnatela: alla sua destra è pressato da Renzi, alla sua sinistra si ritrova i Cinque Stelle, in casa ha una sorta di consiglio balcanico dove deve cercare di mettere tutti d'accordo senza comandare su nessuna delle fazioni.

Catapultato dalle cancellerie europee nella dimensione del partito responsabile, cioè della formazione che deve accollarsi le decisioni più scomode della fase di governo, il Pd deve anche cercare di non farsi soffocare dal boa constrictor della responsabilità, non perdere la partita che conta, quando ci sarà, il voto. Le elezioni in Umbria il 27 ottobre sono la prima prova elettorale dopo la formazione del governo giallorosso. Resta il tema del partito responsabile.

Il Pd deve farsi carico di ogni provvedimento che frena la spesa, può giostrare in Europa per ottenere più risorse, ma deve anche far quadrare i conti, coprire le clausole di salvaguardia sull'Iva (23 miliardi) e piazzare qua e là tasse più o meno occulte per non far saltare il banco del bilancio dello Stato.

C'è l'evoluzione sul debito che è positiva da settimane grazie al calo dello spread, si calcola un risparmio di 6 miliardi, ma i rumors (poi smentiti, ma per ora dobbiamo attendere la manovra nero su bianco) sulle tasse di varia natura, la trasformazione in sostituti d'imposta delle famiglie che assumono le colf e i provvedimenti anti-evasione che tradiscono un pregiudizio nei confronti delle partita Iva (si procederà a quanto pare a una revisione del forfait sull'Iva a quota 65 mila euro) non sono il biglietto da visita ideale per un partito che ha un problema con i ceti produttivi, gli autonomi, i piccoli imprenditori e l'elettorato del Nord.

Qual è la soluzione? Qui entriamo nel campo della disperazione politica, Totò la chiamava “la forza della paura”, ma bisogna deciderne una, di mossa. Perché qualsiasi decisione è una spinta verso terre pericolose, popolate da creature orribili che mangiano voti: se il Pd zingarettiano improvvisamente si sveglia dal sonnambulismo governista, rompe la maggioranza e si va al voto anticipato, spalanca i cancelli a una probabile affermazione del centrodestra a trazione leghista (cioè lo scenario che ha originato il sottosopra giallorosso per reazione chimica al suicidio estivo di Salvini); se il Pd resta al governo con l'attuale tattica attendista, verrà logorato inesorabilmente da Renzi che prima lo spolperà in Parlamento, poi lo consegnerà a una probabile sconfitta nel paese.

Zingaretti paradossalmente dovrebbe appoggiarsi a Renzi: il leader di Italia Viva non può andare a votare subito, ma se vede segni di sfaldamento non esiterà un minuto, Renzi in questo è un gambler, un giocatore di poker che al tavolo è uno svelto che tenta di volta in volta il bluff e il buio. Qualcuno accenda la luce nel Pd.

MARIO SECHI

DIRETTORE DELL'AGI E FONDATORE DI LIST
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