Rispetto al target del 2% indicato a luglio dal precedente governo giallo-verde, l'attuale governo giallo-rosso intende limare il deficit per il 2020 al 2,2%, circa 3,7 miliardi in più, che consentiranno di fare una manovra complessiva per il prossimo anno intorno ai 30 miliardi di euro. L'indicazione è contenuta nella Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (NaDef) approvata lunedì dal Consiglio dei ministri, in vista della manovra di bilancio per il 2019. Con tale deficit si potrà costruire una manovra sufficientemente espansiva.

Lo sostengono all'unisono il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri. Una manovra che allo stesso tempo sia anche rigorosa del rispetto delle regole Ue. Queste ultime costituiscono la garanzia per i mercati che i conti pubblici dell'azienda Italia siano tenuti sotto controllo.

Sulla carta, l'intendimento del governo è nobile, ma nelle attuali condizioni del Paese è necessario chiedersi se si possa fare una manovra espansiva senza mettere a rischio la sostenibilità del debito pubblico nel medio-lungo periodo. Qualche dubbio al riguardo resta in sospeso, avvalorato anche dal fatto che l'avanzo primario (entrate meno uscite prima del pagamento degli interessi sul debito pubblico) si riduce dall'1,5% del Pil nel 2018 all'1,1 nel 2020).

Sul riferimento europeo del governo non ci sono dubbi. Nel NaDef, inoltre, si sottolinea che la strategia del governo è di lungo termine, dopo una fase complessa in cui «i ricorrenti dubbi sull'adesione alla moneta unica da parte di alcuni esponenti politici hanno contribuito a ridurre la fiducia degli investitori» nei titoli italiani. Chi compra i nostri titoli (circa 400 miliardi di rinnovi all'anno), infatti, prende a riferimento della sostenibilità del debito pubblico il rispetto delle regole europee. Quando questo avviene, lo spread scende, mentre le frizioni con l'Europa lo fanno salire. Le minacce di Salvini, quando era al governo, di fare una manovra interamente in deficit da 50 miliardi, infischiandosene dei vincoli europei, aveva fatto salire lo spread sino a 300 punti base. Col nuovo governo giallo-rosso, invece, che si è impegnato a garantire il rispetto dei vincoli europei, lo spread oscilla ora tra 130-140 punti. Su base annuale, 150 punti di spread in meno significano un risparmio di interessi pagati sul debito pubblico nel prossimo anno di circa 6 miliardi, di cui si potrà tenere conto nella formulazione della prossima manovra finanziaria.

Nella NaDef, il governo si è impegnato a disattivare completamente l'incremento dell'Iva per 23,1 miliardi nel 2020, utilizzando 14 miliardi di flessibilità (in deficit) concessi dalla Ue e 7 miliardi di lotta all'evasione fiscale, nonché ad avviare una prima riduzione del cuneo fiscale sul lavoro. Tuttavia, manca una credibile strategia di riduzione del debito, che è la vera palla al piede dell'economia italiana, perché impedisce una crescita soddisfacente del reddito (prevista in +0,1 nel 2019 e +0,6% nel 2020). Sarebbe più opportuno che la riduzione dell'Iva avvenisse, almeno in parte, anche attraverso una rimodulazione delle aliquote (lasciando cioè che per alcune categorie di beni l'Iva possa salire), cosa che da un lato alleggerirebbe gli incrementi della stessa Iva previsti per il 2021 e allo stesso tempo renderebbe più credibile il sentiero di riduzione, sia pure graduale, del rapporto debito/Pil. Quest'ultimo, infatti, al lordo della quota italiana ai prestiti Ue e al Meccanismo europeo di stabilità (Esm) di 58,2 miliardi, è previsto in aumento dal 134,8% del Pil nel 2018 al 135,7% nel 2020, quasi un intero punto percentuale in un solo anno.

È facile dire che il carattere espansivo della manovra, condensato anche dallo slogan "meno tasse per tutti", come se vivessimo nel Paese dei balocchi, non aiuterà a mantenere la stabilità finanziaria del nostro debito pubblico nei prossimi anni, soprattutto se, come purtroppo si prevede, c'è in vista l'arrivo di una nuova recessione internazionale.

Beniamino Moro

(Università di Cagliari)
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