Grande è la confusione sotto il cielo, perciò la situazione è favorevole. La frase di Mao Zedong ben si attaglia alla Sardegna. Uno sguardo e si intravvedono occultati da festival, sagre, carnevali invernali e estivi, premi, squarci di cruda disperazione che normalmente mobilitano operativamente cittadini, classi dirigenti, decisori. Nell'isola no, perché questi ultimi ritengono la "situazione favorevole" essendo loro i foraggiatori di tanto diffuso e pasticciato effimero con finanziamenti a pioggia. Intanto disoccupazione e cassa integrazione in crescita.

E di conseguenza emigrazione di laureati e diplomati; sanità lontana dall'articolo 32 della Costituzione sui pari diritti alla salute; desertificazione demografica; mancato diritto allo studio con gli universitari in fuga dalle Università locali e gli studenti medi, ultimi, ma proprio ultimi, in tutte le rilevazioni Ocse P.I.S.A. e Invalsi; politici di lungo e breve corso a festeggiare la retrocessione della Sardegna nell'Obiettivo 1, "così abbiamo più soldi" (per fare cosa?).

Quali le ragioni di una situazione sempre più deteriorata persino nella pratica sportiva? Che l'isola sia ancora quella di Vittorio Emanuele I° che, nell'ottobre del 1820, emanò il "Regio editto sopra le chiudende, sopra i terreni comuni e della Corona, e sopra i tabacchi, nel Regno di Sardegna"?

La stessa che per ovviare alle incapacità delle sue classi dirigenti, nel definire sé stesse e un modello di sviluppo, aveva trovato la scorciatoia, dipendente ed eterodiretta, nell'accettare che ci si appropriasse, ope legis, di beni comuni. Fu consentito infatti a "qualunque proprietario a liberamente chiudere di siepe, o di muro, vallar di fossa, qualunque suo terreno non soggetto a servitù di pascolo, di passaggio, di fontana o d'abbeveratoio".

La motivazione ufficiale? Favorire l'economia. Come? Concedendo a pochi e, per garantirsi il consenso dei maggiorenti periferici, anche ai Comuni "tancas serradas a muru".

In realtà i Piemontesi beneficiarono chi li aveva aiutati a far fallire ogni "sarda rivoluzione" inventando un format mai smesso. Chi si impadronisce localmente di un qualsivoglia potere lo tiene a vita. Come? Operando da intermediario nella svendita dell'isola a singoli o a gruppi. Si tratti di boschi, miniere, pascoli, coste. Qualche volta si può diventare persino sicari di fratelli e sorelle, emarginando quando non perseguitando quella parte di società attiva contro abusi, tornaconto personale, familismo, camarille variamente declinate.

È Antonio Gramsci che aiuta a capire geografie, scenari, attori. «La supremazia di una classe sociale si manifesta in due modi: come dominio e come direzione intellettuale e morale». L'affermazione interpella sul perché abbia agito e continui ad agire più il dominio e l'esclusione sulle e delle classi subalterne e meno la direzione intellettuale e morale.

In Sardegna quel primato delle classi dominanti è tuttora irriducibile e si autoriproduce perché capace persino di cooptare con reti a strascico attraverso fulcri territoriali che sull'effimero e sul sottosviluppo si alimentano.

Per Gramsci operare "direzione intellettuale e morale" presuppone cultura, educazione, ethos, organizzazione, assunzione di responsabilità che non pare di intravvedere in vecchi e nuovi decisori.

Un rapido sguardo alle affermazioni su sostenibilità, paesaggio, ambiente, suolo, turismo, industria, agricoltura, pastorizia, per capire che la Sardegna da nord a sud è abitata dallo sviluppo del sottosviluppo.

Per oltrepassarlo necessitano gesti forti. Scomodando il Protagora di Platone quei gesti forti risiedono nella politica, patria delle técnai che governano la polis. Hannah Arendt scrisse che la vera forma della politica è capire. Il resto è dominio. Ma per capire bisogna studiare molto. Solo così, per tornare a Gramsci, si diventa vere classi dirigenti che agiscono le funzioni coerentemente con i ruoli che pretendono. Compresa l'umanità che ne è il presupposto.

Maria Antonietta Mongiu
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