"Chiedo agli italiani se hanno voglia di darmi pieni poteri per poter fare quello che abbiamo promesso senza palle al piede". Con queste parole Salvini, in pieno agosto, imprevedibilmente, ha provocato la crisi di governo.

Come decifrare questo colpo di scena? Per quale ragione si è determinato a farla finita coi 5 Stelle proprio in un momento tanto delicato col rischio serio di dare l’input a un governo di scopo finalizzato al varo di provvedimenti legislativi urgenti o, peggio ancora, di tipo tecnico affidato a personalità estranee alle forze politiche?

L’incompatibilità coi grillini era evidente fin dal principio e, di fatto, le due anime dell’esecutivo sono sempre riuscite a trovare la quadra su moltissimi punti essenziali. Cosa è cambiato dunque in questi ultimi giorni? Perché il ministro dell’Interno ha deciso di gettare la spugna, di mettere a frutto il consenso di cui allo stato ancora gode, proprio in prossimità dell’elaborazione di una manovra tanto complessa quanto decisiva per le sorti economiche del Paese addossando la responsabilità ai soli gialli stellati?

La risposta è più semplice di quel che si potrebbe pensare e, certamente, non sono le logiche tradizionali a venire in soccorso per definire i termini della questione che appaiono, invece, molto più spiccioli e completamente avulsi da ragionamenti di reale spessore politico.

Tanto per cominciare perché, diversamente da quanto il capitano mostra di ritenere e vorrebbe lasciar credere agli italiani, la responsabilità di questo governo del fallimento a trazione decisamente leghista è solo ed unicamente sua per averne consentito la nascita sulla base di una mera ed egoistica spinta personalistica motivata unicamente dalla tentazione di sedere, per la prima volta, sugli scranni del potere, e averlo condotto nella più totale assenza di provvedimenti utili ma, anzi, favorendo lo spreco di soldi pubblici e, quindi, contribuendo ad aggravare la situazione economica.

Quindi perché questo tentativo di fuga a gambe levate è dovuto solo e unicamente all'impossibilità pratica, a lui ben nota, di portare a casa risultati di rilievo in tema di autonomia differenziata e flax tax: risultati che non riuscirebbe comunque a conseguire neppure se, nelle sue più rosee aspettative, riuscisse a scippare il premierato a Giuseppe Conte, il quale, a sua volta, ha recentemente scoperto un’inaspettata vocazione politica che lo ha portato fino al punto di sfidare apertamente il leghista.

Infine, perché l’aver deciso di staccare la spina in pieno agosto, a Camere chiuse, costituisce un gravissimo e imperdonabile atto di codardia politica che potrebbe ritorcerglisi contro siccome non può seriamente pretendere, Salvini si intende, di trovare spianata la strada verso Palazzo Chigi.

La verità è che, troppo sicuro di sé, ha compiuto il suo primo fatale passo falso e Mattarella, ancora sapientemente silente, non tarderà a far sentire la sua voce anche in ragione delle spinte contrapposte che arrivano dai vari partiti dell’opposizione sinistrorsa, tutti pronti sul piede di guerra per cancellare una volta per tutte il ricordo di questo governo e dei suoi protagonisti.

Il padano avrebbe dovuto pensarci molto prima per la semplice circostanza per cui se è vero che la legge di bilancio dovrà essere comunicata all’Unione europea entro la metà di ottobre e, di conseguenza, di lì a poco, dovrà essere incardinata in Parlamento per essere definitivamente approvata entro la fine dell’anno, allora che senso ha andare al voto proprio in ottobre col rischio di trovarsi davvero con "pieni poteri" e dover provvedere, suo malgrado, a decretare l’aumento dell’Iva, a quel punto inevitabile, assumendosene la piena responsabilità?

Che questa sua frenesia di tornare al voto nasconda in realtà un intento contrario finalizzato invece a determinare le condizioni per la nascita di un governo del Presidente sul quale tentare di far ricadere la responsabilità di una manovra inevitabilmente restrittiva e non rispondente ai suoi proclami? L’ipotesi potrebbe non essere così inveritiera e, anzi, la ritengo piuttosto fondata poiché, se davvero così fosse, il Matteo padano potrebbe continuare indisturbato a far sentire la sua voce di protesta dai banchi dell’opposizione conservando immacolata, o quasi, l’immagine che di sé ha finora proiettato sul popolo degli elettori.

Peccato solo che questo non sembra essere l’intendimento del Presidente della Repubblica il quale, da buon e saggio temporeggiatore, segue da lontano, ma con attenzione, gli sviluppi della crisi e provvederà a indire le consultazioni solo nell’ipotesi in cui Conte venga sfiduciato o si dimetta. In quel caso tutto sarà affidato ai numeri su cui i vari leader potranno contare in Parlamento. Il peggio è che questa incauta "pensata" del vicepremier, il quale ultimamente sembra aver preso troppo sole, finirà per compromettere ulteriormente la nostra posizione all’interno dell’Unione europea proprio ora che sembravano esserci le condizioni per la nomina di un commissario italiano di spessore in campo economico. A chi giova tutto questo? A ben rifletterci sembra tutto architettato a puntino per giungere all’obiettivo di depotenziare definitivamente l’Italia e lasciarla perire nell’isolazionismo politico, sociale ed economico, provocandone, alla fine, addirittura lo strappo fatale con l’Unione e la conseguente fuoriuscita dall’euro. Non dimentichiamo che questi erano gli intenti originari della Lega. Corrono brutti tempi ma se ne preparano di peggiori.

Giuseppina Di Salvatore

(avvocato - Nuoro)
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