Per Salvini la priorità della prossima legge finanziaria è la flat tax, mentre per Di Maio è la riduzione del cuneo fiscale. Tuttavia, entrambe le misure hanno seri risvolti negativi, vediamoli.

Facendo riferimento ai dati elaborati da Itinerari Previdenziali nel suo 6° Report sulle dichiarazioni dei redditi 2018 dei lavoratori dipendenti, i primi 8,27 milioni (il 40%) di contribuenti dichiarano un reddito inferiore ai 15 mila euro annui, quindi sono esenti dall'Irpef e hanno l'assistenza sanitaria gratuita. Quelli che dichiarano tra 15 e 20 mila euro sono quasi 3 milioni e pagano un'Irpef media di 1.237 euro.

La sola sanità costa, sempre in media, 1.878 euro pro-capite: pertanto, una famiglia di due persone appartenente a questo scaglione di reddito, di cui una sola persona lavora, copre con l'Irpef il 33% del costo medio della sanità, mentre per una famiglia di tre persone, di cui una sola lavora, la copertura scende al 22%.

Il successivo scaglione di reddito (20-35 mila) conta oltre 7,26 milioni di contribuenti che pagano un'Irpef media di circa 4.000 euro, mentre quello successivo (35-55 mila) paga circa 10.700 euro. Poi ci sono i 770 mila (il 3,73%) che dichiarano più di 55 mila euro e che versano il 34,67% di tutta l'Irpef e una percentuale ancora più elevata di imposte indirette. Pertanto, i veri tartassati dal fisco sono i contribuenti da 35 mila euro in su, che pagano un'Irpef che varia da 10 a oltre 283 mila euro (per chi dichiara oltre 300 mila euro).

Ricapitolando, i primi 8,27 milioni di contribuenti sono esentati dalle tasse, mentre i secondi tre milioni già pagano un'aliquota inferiore al 15%, quella indicata da Salvini per la flat tax. Gli unici beneficiari di quest'ultima, pertanto, sono i 7,25 milioni di lavoratori tra i 20 e i 35 mila euro, che avendo un'aliquota Irpef del 18,7% risparmierebbero il 3,7% del reddito dichiarato, e 1,6 milioni di contribuenti tra 35-55 mila euro, che avendo un'aliquota del 25% con la flat tax risparmierebbero il 10%. Il costo dell'operazione è di circa 20 miliardi.

"È sostenibile ed equo - si chiede il Report - favorire questi 8,85 milioni di cittadini su un totale di 41 milioni? E chi ci mette i soldi visto che per finanziare il solo welfare italiano già oggi occorrono tutte le imposte dirette?".

Quanto alla riduzione del cuneo fiscale (differenza tra salario lordo e netto in busta paga), che ogni tanto ritorna come un mantra tra le proposte di vari governi, è più facile a dirsi che a farsi, così come anche per il cuneo contributivo. Un esempio: un lavoratore fino a 25 mila euro di reddito, per ogni 100 di netto in busta paga, versa 9,2 in contributi e sui restanti 90,8 circa il 15% di Irpef. Gli restano 77,18 euro, ma con le tasse non si è pagato nemmeno la sanità, figurarsi la scuola per i figli e i servizi pubblici.

Al datore di lavoro, questo lavoratore costa circa 130 per via dei contributi previdenziali versati all'Inps (23,8) per malattia, maternità, disoccupazione, ecc., e all'Inail per l'assicurazione contro gli infortuni. La differenza tra il netto in busta paga e il costo lordo per l'azienda è pari a 1,67 volte, che può aumentare sino a 2,2 se si includono altre prestazioni, come tredicesima, premi di risultato, Tfr, ferie e festività, e altre prestazioni. Si può ridurre il cuneo? La risposta è no, perché se si riducono i contributi previdenziali si riduce di conseguenza anche la copertura finanziaria e l'importo della pensione futura.

Inoltre, non sarebbe più garantito il salario in caso di malattia, di disoccupazione o di invalidità permanente, che sono le grandi conquiste sociali da salvaguardare. Quindi, anche i contributi non possono essere ridotti. "Il difetto di questo mantra del cuneo fiscale e contributivo - conclude il Report - sta tutto qui: non si può ridurre la pensione, così come non si possono ridurre le altre prestazioni sociali".

In conclusione, né la riduzione del cuneo fiscale, né la flat tax si possono fare senza creare problemi più gravi all'economia.

BENIAMINO MORO

DOCENTE DI ECONOMIA POLITICA - UNIVERSITÀ DI CAGLIARI
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