L'Arma dei Carabinieri è un'istituzione antica che rappresenta al meglio i valori della Repubblica e l'unità d'Italia. Il corpo viene istituito nel 1814 e appare come qualcosa di speciale nell'ordinamento, assume subito la funzione di "baluardo" delle istituzioni. Il primo carabiniere muore in servizio il 23 aprile del 1815, si chiama Giovanni Boccaccio, è nato a Tresobbio nel Monferrato, è in servizio nella Stazione di Limone: cade in un'imboscata notturna vicino al villaggio di Vernante con altri due colleghi, doveva catturare una banda di nove evasi dal carcere di Cuneo.

Da allora i Carabinieri sono sinonimo di preparazione sul campo e eroismo. Il generale americano David Petraeus anni fa disse al vostro cronista che «essere addestrati in Iraq da un carabiniere è come giocare a basket con Magic Johnson». L'uccisione a Roma del carabiniere Mario Cerciello Rega, 35 anni, suscita commozione, è uno di quei fatti che improvvisamente risvegliano la nostra distratta coscienza nazionale. Era sposato da soli 43 giorni, il vicebrigadiere, un figlio dell'Arma che desiderava «avere un figlio». Ha incontrato la morte, la violenza di due giovani sbandati americani a Roma - due diciannovenni di San Francisco - gli ha spezzato il cuore con otto coltellate.

Anche su questo tragico fatto la politica è riuscita a dividersi, è un segno dei tempi. Il grande lutto, la nazionale di calcio e poco altro risveglia(va)no (cominciamo a dubitarne) il nostro spirito unitario.

Così l'Italia si scopre nazione a sprazzi, ma fuori dall'evento eccezionale - e dallo stato d'emergenza - dominano particolarismo e corporativismo, spesso guidati da meschini calcoli. Il Parlamento è ovviamente l'arena dove si esercita questa eterna divisione e va detto che non siamo alla lotta ideale tra guelfi e ghibellini, tra bianchi e neri, ma siamo di fronte allo spettacolo offerto da un gruppo di Lillipuziani che pretende di essere un esercito di giganti.

Mentre stendiamo queste note, in Val di Susa si manifesta contro la Tav, un'allegra scampagnata dove si lanciano pietre, forzano i cancelli d'accesso al cantiere, il solito campo di battaglia che viene scambiato per arena democratica degli amanti del picnic con il volto coperto. Mentre accadeva tutto questo, con perfetto tempismo, il capo di un partito che è al governo - lo stesso governo presieduto da Giuseppe Conte che si è arreso all'evidenza e ha dato il via libera all'opera sulla linea Torino-Lione - il grillino Luigi Di Maio diceva «non facciamo regali a Macron, non ci arrendiamo». Dove sia il regalo a Macron non si sa, si capisce invece che i grillini di lotta e di governo devono cercare di fermare l'emorragia di consensi (hanno perso quasi 6 milioni di voti alle scorse elezioni europee) e per farlo devono conservare il potere e sottoporsi a prove di contorsionismo estremo. Non accettano la decisione del premier Conte (che è loro diretta espressione) sulla Tav, ma restano inchiodati alla poltrona ministeriale del governo che guidano e nello stesso tempo contestano.

Siamo di fronte a un caso eccezionale di labirintite istituzionale. Di Maio e compagni così (forse) fanno il loro interesse di partito, ma sono lontani dalla collaborazione leale con il loro premier e soprattutto in contrapposizione netta a quello che si chiama interesse nazionale.

Il destino di una nazione si basa sulla leadership della classe dirigente, sulla sua capacità di sviluppare (e mantenere, il crollo del Ponte Morandi a Genova è un memento) reti, energia, grandi opere, le risorse che servono per fare industria materiale e immateriale (pensate all'importanza della rete digitale). Questo sistema nervoso, che nasce dalla forza della cultura, della scuola e della ricerca, fa parte della struttura dello Stato, insieme agli organi costituzionali e alle Forze Armate. Un Paese che vuole mantenere la propria identità non può disarticolare questo sistema, giocare con le parole, offrire lo spettacolo di un Parlamento che non trova mai un punto di discussione bipartisan nel nome dell'interesse nazionale. Siamo alla polverizzazione della politica, dell'identità, della cultura delle istituzioni. Il vicebrigadiere ucciso a Roma sapeva che doveva difendere la legge. I partiti e le leadership passano, ma i carabinieri restano per questo motivo, sanno qual è la loro missione, si chiama Patria.

Mario Sechi

(Direttore dell'Agenzia Italia e fondatore di List)
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