Si chiama "Z" ed è una formica operaia, nevrotica e insoddisfatta. Collabora alla costruzione di un nuovo formicaio con altri milioni di formiche, ma non trova in quest'annullamento collettivo la realizzazione che cerca. La presentazione, datata 1998, del film di animazione "Z la formica (Ants)", racchiude in due frasi la contraddizione che è alla base dello scollamento della politica dalla realtà e dalle umane necessità esistenziali.

Soprattutto in questi ultimi anni abbiamo assistito, infatti, a un tentativo maldestro e pericoloso di nuova manipolazione e svilimento della nostra identità e della nostra tradizione.

Come ho già scritto su queste pagine, dopo aver subito, nel periodo della nostra formazione, dosi da cavallo di Manzoni e d'italianità (la storia sarda non aveva diritto di esistere e ai nostri studenti, attenzione, non è ancora dato conoscerla), da un paio di decenni veniamo violentati affinché impariamo a sentirci europei, certifichiamo in cuor nostro decisioni che sono state prese dall'alto senza chiamarci alle urne, rinunciamo alla nostra moneta e alla nostra sovranità. Dopo la nostra civiltà, dopo il nostro spirito comunitario, dobbiamo abiurare adesso la nostra italianità, alleluia.

Non contenti, e al contrario delle altre nazioni, prime tra tutte proprio la Germania e la Francia, che hanno sempre perseguito una politica sovranista (la Francia è arrivata addirittura a dare il via alla guerra di Libia, nel 2011, consultandosi con la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, non certo con l''Europa), abbiamo sposato l'idea di uno stato aperto e buono.

Uno stato che fosse naturale piattaforma di sbarco per gli infelici, dimenticandoci che alle spalle non avevamo un'Europa coesa e altrettanto buona, ma un insieme di stati agguerriti, ognuno chiuso nei propri interessi: storia attuale. In ogni caso, anche supponendo che l'Europa sia la panacea di tutti i nostri mali (quando ormai sempre meno cittadini ci credono), o un male necessario oppure una strada purtroppo senza ritorno, la sua difesa passa attraverso un processo democratico, partecipato e rispettoso delle peculiarità, ad esempio quella sarda, e non attraverso forzature neo-liberiste ostinate a difendere gli interessi di pochi.

Senza scomodare ancora il pentimento di Fukuyama riguardo all'efficacia (nulla) dei paesi sovranazionali o, in piccolo, del nostro Rampini, o le crescenti critiche di Galli della Loggia, di Polito e Galimberti, la riflessione riguarda la reazione in atto a una politica sempre più lontana dai cittadini e la crescita del numero di quelli che sono genericamente chiamati "disobbedienti culturali".

Leggo il filosofo Aleksandr Dugin, invero con un filo di diffidenza, che punta il dito sulla progressiva perdita d'identità cui ci stiamo condannando, sulla necessità del recupero della tradizione e sulla pericolosità dell'accettazione dell'One-Word, lo stato globale. E sono colpito da quanto acutamente scrive il professor Vincenzo Perrone che, in sintesi, rileva che senza identità e radici comuni nessuno si fida degli altri, perché la fiducia è basata fortemente proprio sull'identità: in tutte le comunità ci si fida di chi si riconosce come simile. Il fatto che le antiche istituzioni si stiano disgregando (il villaggio, la famiglia, la parrocchia e la chiesa, il partito e il sindacato, ecc.) lascia aperta la strada a una frammentazione spinta, in senso orizzontale e verticale, che rifiuta i legami forzosi e le interpretazioni generiche della nostra realtà, buone per tutte le stagioni. Perrone descrive «una società che si divide, dove emergono gruppi autonomi, le passioni si atomizzano e, in generale, le persone sono spaventate». In tutto questo, la scuola, che dovrebbe fare da fondamento, collante e cinghia di trasmissione di valori positivi, arranca spaventosamente indietro: la formazione è stata volutamente penalizzata e asservita.

È chiaro che un'appartenenza "giovane" a un'idea di nazione (l'Italia è nata solo ieri), e presto cancellata per dar voce a un'idea vaga di Europa, quando il popolo non è certo internazionalista o globalista o neo-liberista, spalanca la porta a movimenti di difesa dell'identità, delle radici, dei legami sociali affidabili e certi. Il romanticismo ideologico de "l'unione fa la forza", quando tutto è frammentato e atomizzato, si scontra con una volontà più forte: quella di non diventare Z la formica.

Ciriaco Offeddu

(Manager e scrittore)
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