Quattro mesi fa, quando mi trovai ad intervistare Giuseppe Conte a Palazzo Chigi gli chiesi se riuscisse a dormire sonni tranquilli malgrado lo spread. Il premier dapprima mi sorrise cortese, poi fece una pausa un po' teatrale. E quindi mi rispose con questa frase: "Non voglio averlo piantato nel cervello. Ma lo tengo sempre a fuoco, in un angolo del mio campo visivo, perché è un numero che non posso permettermi di ignorare mai".

Fece un gesto con la mano, come per collocarlo nell'angolo di un immaginario schermo. E sono convinto che lì sia rimasto, metaforicamente, fino a due giorni fa. Fino a quando, cioè, nel governo è deflagrato il conflitto tra Giovanni Tria che vuole partire dallo spread per tenerne conto, Matteo Salvini che vuole prescindere dalla sua minaccia, e Conte, che dice di non poterlo ignorare. Non è un caso che mentre Tria tranquillizzava l'Europa ripetendo che "i titoli italiani sono un ottimo affare per gli investitori", il ministro dell'Interno tenesse il punto: "Lo spread è un'arma che stanno usando per ricattarci ed intimidirci".

Ecco perché solo quando in serata il differenziale con il titolo di stato tedesco è tornato sotto la soglia di guardia (cioè sotto quota 280, fino a toccare quota 278) a palazzo Chigi si è tirato un sospiro di sollievo.

Così la domanda di oggi, ancora una volta è: siamo giunti ai titoli di coda per il film del governo? La risposta è no: cosa sarà di questa maggioranza, nel bene o nel male, lo decideranno solo gli elettori nelle urne delle elezioni europee.

Secondo interrogativo. Il governo è a un passo dallo strapiombo? La risposta è sí. Perché il logoramento che il conflitto permanente produce sugli alleati è reale. E perché lo spread - la minaccia più antica e inquietante di questa e di tutte le maggioranze dal 2011 a oggi - si è riattivata all'improvviso, come un congegno ad orologeria e ha iniziato a ticchettare sotto il tavolo.

Ad innescare l'ordigno è stata l'ormai famosa frase di Matteo Salvini sul 3% che "si può superare". È stato un errore, come hanno scritto in molti, o una dichiarazione ponderata e pronunciata lucidamente, correndo un rischio calcolato? Chi conosce Salvini è convinto che la risposta giusta sia la seconda. Il leader in queste elezioni si sta giocando una partita di scala europea, e per questo sta pestando sull'acceleratore a tutto gas. È convinto che il nuovo corso "moderato" del M5s lasci liberi degli spazi in ampi settori di elettorato (a cavallo tra i due movimenti) che sono più inclini alla rabbia che alla conciliazione. E ha deciso che fino al giorno delle urne non farà nessun ripiegamento tattico.

Le parole da "pompiere" di Di Maio lo hanno persino fatto arrabbiare. È certo che il leader del M5s non sia convinto della sua linea istituzionale, che reciti un ruolo. Il black out, l'interruzione della diplomazia Wathsapp che così bene aveva funzionato nasce da questo moto di dispetto.

Tuttavia Salvini sta spingendo la macchina della Lega a tutta velocità e sta stressando se stesso verso il traguardo perché ha un obiettivo preciso. Ieri era faticoso persino seguire la raffica delle sue iniziative su Facebook. In diretta streaming da Foggia. Poi da Potenza, dove ha gridato: "Non si indietreggia di un millimetro!".

Il "capitano" è stanco. Da giorni la voce alla fine della giornata diventa roca, ma è capace di ostentare grande sicurezza: "Vedo - diceva nel suo comizio - che la gente non riesce ad entrare. Mi hanno detto che fuori ci sono dei canterini che gridano Bella ciao. Che dire? Canta che ti passa! Io preferisco i Ricchi e poveri". Sono tante però le minacce che gli stanno piovendo sulla testa. Le contestazioni, la campagna degli striscioni, le inchieste giornalistiche (i finanziamenti, i voli di Stato) e infine anche la magistratura con il caso Siri prima, e con la tangentopoli lombarda oggi. Ecco perché in questo momento Salvini ha un moto di sprezzo per Di Maio. Si sente accerchiato, ma ha deciso di andare fino in fondo. È convinto che il voto segnerà un big bang, anche se non sa in che modo.

Così continua a fare quello che ha fatto in questi mesi. Comprare tempo. "Perché se è vero che nessuno può dire quale sarà la nuova commissione, una sola cosa è certa: quella che c'è ora non ci sarà più. Perché la mandiamo a casa noi". Se la Lega sarà sopra il 30%, e la maggioranza sopra il 50% il bel tempo tornerà per incanto. Altrimenti inizierà la notte dei lunghi coltelli, la resa dei conti finale.

Luca Telese
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