Nei giorni scorsi, si sono registrati taluni interventi in mare salva migranti, anche da parte della Guardia Costiera Italiana, che hanno suscitato il disappunto, per non dire l’ira, del nostro ministro dell’Interno.

La Marina Militare Italiana, in particolare, non troppo lontano dalle coste libiche si sarebbe resa responsabile di aver recuperato ben 46 immigrati attraverso un'operazione cosiddetta SAR resasi necessaria siccome il natante imbarcava acqua, mentre Mare Jonio avrebbe annunciato, poco dopo, di aver anch’essa tratto in salvo altre 29 persone, e la nave Mediterranea Saving Humans sarebbe stata sequestrata con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina al suo attracco a Lampedusa.

Per tutta risposta, il ministro dell’Interno, complice forse il calo dei consensi registrato da ultimo nei sondaggi più recenti, e l’avvicinarsi della fatidica data delle elezioni del 26 maggio prossimo, all’indomani della quale potremo addirittura registrare una distribuzione delle alleanze interne assai dissimile da quella attuale con grave rischio per la tenuta di questo governo (che già da tempo fa acqua da tutte le parti) e per gli attuali assetti di potere, ha pensato bene di rilanciare la sua popolarità, anche in modo tutt’altro che originale, annunciando un Decreto Sicurezza Bis che nella sua stessa formulazione "tradisce" gli intenti del suo ideatore.

Composto, allo stato, di ben 12 articoli, attraverso il decreto, stando alle fonti giornalistiche maggiormente accreditate, Matteo Salvini vorrebbe, tra le altre cose, non solo veder riconosciuta al dicastero di sua pertinenza la competenza a limitare o vietare il transito e la sosta nel mare territoriale nell’ipotesi in cui sussistano ragioni di ordine pubblico e sicurezza, ma vorrebbe, altresì, anche reprimere l’immigrazione clandestina con la previsione di pesantissime sanzioni, anche pecuniarie, a carico di chi, nello svolgimento delle operazioni di soccorso in acque internazionali, non rispetti gli obblighi previsti dalle Convenzioni Internazionali con particolare riferimento alle istruzioni operative delle autorità SAR competenti o dello Stato di Bandiera.

Letto così, superficialmente, si sarebbe indotti a ritenere che le disposizioni richiamate non proiettino alcuna criticità e che il richiamo al rispetto degli obblighi assunti dal nostro Paese attraverso le Convenzioni Internazionali in materia, debitamente ratificate, sia sufficiente a suggellarne la piena validità non solo sul piano giuridico ma anche su quello del risultato, ossia sul piano della corrispondenza tra l’efficacia pratica della norma e gli intenti che l’hanno ispirata.

È davvero lecito, oltre che moralmente accettabile, cercare di punire con sanzioni di tipo amministrativo che arrivano addirittura alla revoca della licenza di navigazione coloro che, a prescindere da qualsivoglia altra considerazione, salvano vite umane?

E poi, queste previsioni, se davvero approvate, sono uno strumento idoneo a contrastare l’immigrazione clandestina?

Fermo restando che l’immigrazione clandestina debba essere sempre contrastata, nel caso specifico, con riferimento alle disposizioni richiamate, risponderei proprio di no.

Tanto per cominciare, perché la Convenzione Internazionale sulla Ricerca ed il Salvataggio Marittimo, detta anche di Amburgo e da noi ratificata, prevede espressamente che, nel nostro caso la Guardia Costiera, all’atto della segnalazione di una emergenza registrata al di fuori della propria area di responsabilità SAR, è tenuta a porre in essere il coordinamento delle operazioni di soccorso provvedendo a darne avviso più che tempestivo alla autorità SAR competente e/o a quella che appaia maggiormente idonea a prestare la cosiddetta better able to assist, con la precisazione che laddove quest’ultima non risponda, l’Imrcc di Roma è tenuta a coordinare il soccorso fino alla sua conclusione e ad individuare il place of safety (porto sicuro) utile allo sbarco.

Quindi perché, sulla base della stessa Convenzione, e quindi, laddove una imbarcazione traboccante di migranti entri in avaria in acque libiche e la nostra Guardia Costiera venga interessata dall’emergenza, oltre ad avviare doverosamente ogni operazione di soccorso ritenuta necessaria, e avvisare la guardia costiera libica perché assuma il coordinamento della operazione, nell’ipotesi in cui quest’ultima rimanga silente e/o rifiuti, come nella stragrande maggioranza dei casi avviene, di assumere su di sé la responsabilità del soccorso dovrà comunque essere lo Stato che per primo ha ricevuto la richiesta di aiuto, l’Italia, siccome scopo primario e superiore, piaccia o no, è sempre e comunque la salvaguardia del bene primario della vita.

Poi, perché il dovere, ma sarebbe più corretto, come di fatto è più corretto, parlare di obbligo (morale prima ancora che giuridico) di salvare la vita in mare è un vero e proprio imperativo categorico per gli Stati, siccome addirittura prevalente su qualsivoglia norma e/o accordo diretti al contrasto dell’immigrazione clandestina e/o, a maggior ragione, prevalente su ogni slogan ("porti chiusi") verbale del ministro dell’Interno, con buona sua pace, stante pure il famoso principio di non respingimento, di cui all’art. 33 della Convenzione di Ginevra (anch’essa ratificata), in Paesi ritenuti notoriamente non sicuri, quale appunto la Libia.

Inoltre, perché, se per un verso, le Convenzioni Internazionali ratificate, in base agli articoli 10, 11 e 117 della Costituzione, non possono in alcun modo essere disattese sulla scia di decisioni discrezionali della autorità politica, per altro verso, lo stesso Protocollo addizionale alla Convenzione delle Nazioni Unite che venne firmato a Palermo nel lontano anno 2000, e che si poneva l’obiettivo di contrastare il traffico illecito dei migranti, prevede espressamente, al suo articolo 9, la superiorità gerarchica delle norme di diritto internazionale poste a tutela dei Diritti dell’Uomo, tra cui, evidentemente, quelle dirette alla salvaguardia della vita a prescindere da qualsivoglia pregiudizio e/o ragione, nonché la superiorità gerarchica della stessa Convenzione di Ginevra.

Infine, perché, sotto il profilo squisitamente formale, l’adozione di un provvedimento di carattere emergenziale, quale appunto il decreto-legge, per arginare un fenomeno che senza timore di smentita possiamo definire oramai strutturale, quale appunto l’immigrazione clandestina, contrasta con l’articolo 77 della Costituzione il quale circoscrive l’impiego di siffatto strumento ai casi straordinari anche perché avente carattere provvisorio, la cui eventuale reiterazione ai fini conservativi dei suoi effetti, nell’ipotesi di mancata conversione in legge nel termine di 60 giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, sarebbe ugualmente di dubbia costituzionalità.

Se la vita umana deve essere tutelata e salvata a prescindere, se l’impiego stesso della decretazione d’urgenza in materia è incostituzionale, e, se, a ben considerare, stando alle norme richiamate chi salva la vita in mare in buona sostanza non appare punibile, a chi giova questo nuovo decreto? Non giova certamente al suo ideatore, dal momento che, all’evidenza, pare trattarsi di una norma estemporanea diretta solamente a recuperare, o almeno a provare a farlo, un consenso elettorale che pare subire i primi seri contraccolpi, né tantomeno giova al Paese siccome trattasi di norma perfettamente inutile a far fronte al problema della clandestinità laddove davvero approvata.

Tanto più quando, come noto, non esiste, né potrebbe esistere, alcun provvedimento approvato dal Governo, che abbia decretato la reale chiusura dei porti, né il ministro dell’Interno, mi pare, ha mai insistito concretamente in quella direzione lasciando lo slogan nella dimensione di mero grido di piazza a far data dalla campagna elettorale in vista delle politiche del 4 marzo 2018 fino ad oggi. Se davvero fosse stato, e fosse, intimamente convinto della realizzabilità pratica della ridetta chiusura, Salvini l'avrebbe già posta in essere anziché continuare a girare a vuoto intorno al problema senza mai arrivare al dunque alimentando, invano, le speranze del suo elettorato.

Cadere nell’errore è tipico dell’essere umano, ma insistere nell’errore per superbia è diabolico.

Giuseppina Di Salvatore

(avvocato - Nuoro)
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