Pensate a quegli scherzi di ragazzi che diventano realtà, ad "Al lupo al lupo!" gridato troppe volte finché - proprio quando diventa vero - non ci crede più nessuno. Pensate alla frana di sassolini che alla fine si muta in valanga. Se devo provare a farvi capire perché i gialli e i verdi oggi sono sull'orlo del baratro e perché il caso dell'indagine su Armando Siri è diventato un detonatore non esiste una sola spiegazione: ma una doppia visione in cui entrambi i contendenti sono convinti di avere ragione.

Cominciamo dalle voci della Lega: «Togliere le deleghe a Siri, senza nemmeno informare Salvini - ripetono gli uomini del Carroccio in coro - è stato un colpo basso. Una modo stupido per provare a ferirci». Risponde Di Maio, in chiaro: «Come si può minacciare una crisi di governo? Dove sta il senso di responsabilità?». Ribatte Salvini: «La Lega vuole governare bene e a lungo, nell'interesse dei cittadini. Pensi Di Maio a controllare che il reddito di cittadinanza non finisca a furbetti, delinquenti ed ex terroristi».

Attenzione ai dettagli. Una voce del governo leghista, off record, mi offre questa doppia lettura delle parole di Salvini, spiegandomi perché colpiscono dove il dente duole: «Tutto comincia dal Reddito. Quota Cento è andata perfettamente come immaginavamo, finirà a 350mila domande. Mentre il reddito si è fermato a 800mila persone coinvolte. Molto poche rispetto al milione e 300mila messo a bilancio». Poche? Lo chiedo incuriosito cercando di capire il legame tra le domande e la mini-crisi di maggioranza.

La gola profonda del governo leghista mi spiega: «Sì, molte meno del previsto. E poi bisogna guardare la distribuzione. È vero che ci sono 4mila persone che prendono più di mille euro. Ma ce ne sono 50mila che per via dei cumuli e dei vincoli prendono solo 50 euro. Il ritorno di immagine non ci sarà». Gola profonda verde mi vuole dire: angosciati dai sondaggi, preoccupati dal tiraggio minore del reddito i M5s si buttano sull'ultima bandiera che gli è rimasta: la questione morale. Al Senato trovo il capogruppo giallo Stefano Patuanelli. È un ingegnere. Un tipo pacato, molto solido. Che però su questo punto quasi si arrabbia: «Io mi sforzo di capire loro, ma loro non fanno altrettanto con noi. Come possono non comprendere che per noi un sottosegretario indagato per una tangente è come la cryptonite per Superman?». E aggiunge: «Il Reddito non c'entra nulla. E piuttosto: come può la Lega non accorgersi che passo dopo passo un governo di cambiamento rischia di essere percepito come una Casta che si autotutela?». Di nuovo la voce leghista: "Anche il loro assessore Minenna era stato indagato per traffico di influenze, non si é dimesso, e poi è stato archiviato! Non capiscono che noi stiamo difendendo tutto il governo - quindi anche loro! - da un tentativo di alcuni magistrati di darci una spallata per via giudiziaria». Ancora Patuanelli: "Resteremo noi stessi solo finché la gente resterà convinta che non difendiamo l'impunità». Ho scelto di riassumere questo botta e risposta, tra le tante voci che ho raccolto in queste ore nei Palazzi, perché secondo me spiegano meglio di ogni altra cosa le due ragioni. E non è un mistero che uomini della Lega di governo, come Giancarlo Giorgetti, ripetono a Salvini che se la salvezza del governo mette a rischio l'integrità del partito, allora il gioco non vale la candela. Così come l'ala più radicale de M5s, Alessandro Di Battista in testa, sussurra a Di Maio: «Guarda Luigi che ci stanno distruggendo l'immagine apposta».

E se entrambe queste interpretazioni soggettive e contrapposte fossero vere? È come se Lega e M5s non avessero più un modo civile di stare insieme. La via dell'ossimoro, della "convivenza belligerata" sembra diventata l'unica possibile. Con un'unica riserva. I due leader lo sanno, ma non vogliono rompere. Sotto sotto, sia Di Maio che Salvini, stanno dando gas ai propri motori per saltare il burrone. Sperano di essere premiati entrambi nelle urne delle Europee, per potere dire alle rispettive truppe: continuiamo così. Senza questo risultato finiranno entrambi nel burrone.

Luca Telese

(Giornalista e autore televisivo)
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