Bentornati sulla terra. Abbiamo scritto più volte su queste colonne che il rallentamento dell'economia andava contrastato subito con una politica non di Protezione ma di Produzione. Il governo ha fatto i suoi calcoli a breve (voto europeo a fine maggio), ma ora ha un problema: non ci sono i soldi per fare altro. Non solo, i provvedimenti che ha varato oggi - Quota 100 e Reddito di cittadinanza - non aumentano domani il Prodotto interno lordo. Non si tratta della congettura di un burocrate della Commissione europea, è il governo a metterlo nero su bianco nel Documento di economia e finanza: l'apporto di Quota 100 è pari a zero, quello del Reddito di cittadinanza è pari allo 0.2 per cento del Pil. Alla fine la realtà è onesta, puntuale, inesorabile.

Il debito pubblico crescerà, così pure il rapporto tra deficit e Pil, le privatizzazioni sono diventate un nano contabile e gli investimenti si trovano nel dizionario alla voce "speranza". Nel 2020 il governo dovrebbe disinnescare 23 miliardi di euro di clausole di salvaguardia e finanziare la nuova spesa che ha messo in campo. Sono numeri da casa delle streghe, siamo ben oltre 30 miliardi di euro.

Il governo corre verso due trappole: la trappola del debito e quella che su List abbiamo chiamato la trappola di Tsipras. La trappola del debito è già scattata: lo stato emette titoli - circa 400 miliardi di euro all'anno - e in cambio corrisponde ai sottoscrittori un interesse che è superiore a quello della concorrenza.

E ciò a causa del rischio più elevato che presenta l'Italia rispetto ad altri paesi, come ad esempio la Germania, il nostro punto di riferimento. Entro agosto il nostro debito pubblico - dopo aver già frantumato tutti i record - potrebbe toccare quota 2400 miliardi, la spesa per interessi non cala e la crescita è pari a zero. Fate voi i conti e immaginate cosa potrà accadere.

La "trappola di Tsipras" ha una sua logica ferrea: il governo sotto pressione finanziaria dice no all'Unione europea, Salvini e Di Maio fanno dirette Facebook e selfie fiammeggianti, poi il governo va al tavolo della Commissione Ue (è già successo con la legge di Bilancio), vede due o tre numeri sull'economia, pesa la stabilità delle banche (e dunque dei correntisti e dei risparmiatori ai quali loro dicono di tenere così tanto) e accetta una realtà fatta di rigore contabile, lacrime e sangue. L'alternativa? Il caos. Chi ha qualche dubbio sulla sceneggiatura, citofoni Alexis Tsipras, Atene.

L'Italia è un film che si ripete: nel 1992 con il governo Amato vi fu una manovra da 100 mila miliardi e il prelievo forzoso sui conti correnti, poi nel 1993 arrivò da Bankitalia Carlo Azeglio Ciampi e un governo (semi)tecnico per avviare la transizione; nel 2011, il copione è uguale: lo spread decolla a quota 575 punti, arriva il governo tecnico di Mario Monti e una manovra da 20 miliardi; nel 2013 la crisi istituzionale sfocia in un sistema tripartito, i Cinque Stelle arrivano in Parlamento, il Pd fa un governo di larghe intese con Berlusconi, Renzi gioca una carta sbagliata con il Cavaliere (l'elezione non concordata di Mattarella al Quirinale) e il risultato è quello di tre governi instabili del Pd in una legislatura e l'affondamento di Renzi nel referendum costituzionale. Qualsiasi governo arrivi dopo, ha le mani legate e la borsa semivuota.

Nel 2018 la crisi istituzionale produce un risultato che manda in stallo il quadro politico, alla fine viene fuori l'unico governo possibile, quello tra Cinque Stelle e Lega, un esecutivo retto da un duumvirato tra Di Maio e Salvini. Quel governo in estate vara una legge di bilancio immaginando un periodo di lunga crescita globale, ma il rallentamento dell'economia tedesca è in corso (non ci voleva molto, bastava guardare i dati del settore dell'auto) il piano è già minato, gli interessi sul debito galoppano, si fa politica economica in deficit senza un'idea di crescita, si trascura la leva degli investimenti e così si arriva al Consiglio dei ministri dell'altro ieri sera con la fine del sogno. Lo ha messo nero su bianco il governo nel Def. Toh, che sorpresa.

Mario Sechi

(Direttore di List)
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