Il governo tra Cinque Stelle e Lega è al momento l'unico possibile, un format senza alternativa perché privo di altre combinazioni da sperimentare a Palazzo Chigi. È il paradosso del "prigioniero libero" in cui sono immersi Di Maio e Salvini, liberi di governare ma prigionieri della necessità creata da un sistema bloccato. Nessuna aggregazione plausibile dei seggi in Parlamento oggi potrebbe condurre a un'altra maggioranza e lo stesso voto anticipato potrebbe sfociare nuovamente in un altro stato di emergenza con alleanze politiche forzate come quella attuale.

Così la maggioranza si dibatte in continue contraddizioni sul piano della politica interna e degli affari esteri. Sulla Tav siamo al paradosso: i leghisti la vogliono, i grillini no. Il dissidio non è composto, dunque si procede nel limbo, con l'impresa Telt che pubblica le gare della parte francese per 2,3 miliardi di euro (dunque l'opera va avanti) e sospende quelle della parte italiana (dunque l'opera sta ferma).

La crisi non è arrivata perché appunto non c'è un'alternativa di governo. Si naviga a vista. Così una frattura di linea politica interna diventa un affare internazionale perché sull'alta velocità sulla tratta Torino-Lione entrano in gioco la Francia e l'Unione europea, cioè la seconda economia dell'Europa e il forum di cooperazione internazionale di cui siamo Paese fondatore.

Lo stesso schema si sta replicando su un altro dossier della politica globale: il nostro rapporto con l'Oriente. Russia e Cina oggi sono due paesi con cui abbiamo relazioni strette. Troppo. E infatti gli Stati Uniti dopo un lungo periodo di letargo, si sono risvegliati e hanno cominciato a porsi delle serie domande sulla tenuta dell'alleato a Roma. L'influenza politica della Russia sull'Italia non è un fatto nuovo, ma l'intensità dell'azione politica del Cremlino sui partiti sovranisti, questa sì che è nuova ed frutto di una classe politica italiana debole, con una formazione culturale fragile, dunque molto influenzabile da agenti esterni molto raffinati. La Cina ha gli stessi obiettivi che persegue con la catapulta della diplomazia economica. Pechino lancia i suoi investimenti, cerca di penetrare nei settori chiave dello Stato, non ha neppure bisogno di acquisire quote di controllo, bastano partecipazioni rilevanti nel capitale di istituzioni e imprese strategiche e il gioco è fatto. A questo si aggiunge la capacità tecnologica di Pechino che in alcuni settori ormai compete con gli Stati Uniti, in particolare in quello delle telecomunicazioni.

La National Security Strategy presentata da Donald Trump alla fine del 2017 individua in Russia e Cina gli avversari più pericolosi. Ecco perché alla Casa Bianca guardano con attenzione e più di un sospetto ai rapporti con Putin (e non da oggi) e all'accordo che l'Italia firmerà a Roma il 22 marzo prossimo con il Presidente cinese Xi Jinping. Temono che quello di Pechino sia il classico cavallo di Troia, penetrare sempre di più in un paese come l'Italia, alleato storico degli Stati Uniti. La forte presenza in Italia di un colosso delle telecomunicazioni come Huawei (sotto inchiesta in America per spionaggio e violazione dell'embargo all'Iran) rafforza questo scenario degli americani. Anche su questo dossier Cinque Stelle e Lega sono platealmente divisi con i primi che ora sono più vicini alle posizioni degli americani, mentre i secondi sono inebriati dalle promesse dell'impero celeste.

Se Mosca e Pechino sono considerati dalla Casa Bianca una minaccia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, se l'ambasciatore americano a Berlino scrive al ministro dell'economia della Germania che la collaborazione con Huawei rischia di compromettere la collaborazione tra i rispettivi servizi segreti e portare gli Stati Uniti a una diminuzione della condivisione delle informazioni di intelligence, se questo è il tema chiave della competizione globale, l'Italia non può pensare di far finta che il problema non esista. Il filo elettrico tra Roma e Washington è scoperto. Fa scintille e la manina del governo è a pochi centimetri dall'elettroshock.

Mario Sechi - direttore di List

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