"ll sequestro non mi ha lasciato niente di buono. È un'esperienza che ho messo tra parentesi per non restare incatenata al rancore".

Dietro la scrivania rossa del suo ufficio di consulente del lavoro Silvia Melis fa i conti col passato: "Non esistono formule miracolose per riconquistare il tempo che ti è stato rubato. Dopo ventidue anni e due processi resta un evento del quale avrei fatto volentieri a meno. Dal momento del rilascio sono stata assorbita da troppe urgenze e non mi sono resa conto di quel che accadeva intorno a me. C'è voluto tanto impegno per riacciuffare la vita ma ci sono riuscita. Invece per gli altri - innanzitutto per mio figlio - sono stati nove mesi persi, irrecuperabili".

Al primo piano della palazzina di via Campidano, cento metri in linea d'aria dal punto in cui fu rapita, si muove sicura tra collaboratrici e telefoni, una (quasi) cinquantenne nel corpo di una ragazzina. La paura si fa ancora largo tra i suoi pensieri: "Ogni sera al rientro a casa penso che lì sono stata sequestrata".

Com'è cambiato il suo approccio col prossimo?

"Sono diventata diffidente".

Mai pensato di andare via da Tortolì?

"No. Mi conoscevano anche prima del sequestro, sanno chi sono. I compaesani mi hanno sempre fatto sentire una persona normale".

Nel 1997 l'hanno accusata di essersi messa in mostra, qualcuno ha dubitato perfino del sequestro: cosa non rifarebbe?

"Non lo so. Solo in parte dipendeva da me, è stato un episodio drammatico vissuto mediaticamente a livello nazionale. Ero troppo giovane, appena uscita da un incubo. Mi suggerivano di fare interviste, non avevo margine di scelta".

Che idea s'è fatta del mondo che ruotava attorno a lei dopo il sequestro?

"C'era tanta confusione. Nichi Grauso, per dire, ha dichiarato che cercava pubblicità per scopi elettorali. Altri hanno cavalcato l'onda senza spiegare perché lo facevano. Ho avuto una fortuna: le forze dell'ordine mi hanno creduta. Lentamente tutti hanno capito come stavano le cose. A rate ho superato le difficoltà, anche il complesso nato dall'accusa di essere una bugiarda".

Il giudizio che l'ha ferita di più?

"Le cose brutte le ho rimosse fissando nella memoria quelle positive. Di certo il primo anno l'ho vissuto con un grande senso di colpa".

A un uomo avrebbero mosso le stesse accuse?

"Forse no. Ero giovane, esuberante, molto empatica: un mix che ha contribuito a far andare le cose in quel verso".

Dopo le indagini sul suo sequestro ce n'è stato solo un altro: perché?

"Ci sono tante concause: è estremamente impegnativo, rischiosissimo, e non garantisce un guadagno adeguato".

Il ruolo dell'avvocato Antonio Piras?

"Non ho elementi per poterlo definire con esattezza".

Quanti le hanno offerto la candidatura?

"Sono appassionata di politica ed è per questo che non mi candiderei. Non sono stata mai iscritta a un partito né ho votato alle primarie, ho clienti di tutti gli schieramenti e sono sicura che alcuni si offenderebbero se sposassi una tesi".

Dopo aver trascorso nove mesi con i sequestratori, come si fa ad avere un rapporto sereno con un uomo?

"Nei sequestri c'era già la parità di genere. Gli uomini custodivano gli ostaggi, le donne spendevano i soldi del riscatto, preparavano i pasti per i carcerieri e la vittima: qual è la differenza?".

Perché è stata scelta?

"In Ogliastra pedinavano altre persone ma rapire me era più semplice: sbagliando, immaginavano una soluzione rapida".

Cos'è l'otto marzo?

"La festa della donna dovrebbe essere un inno alla parità tra i sessi e invece diventa l'occasione per contare i femminicidi".

Anche la doppia preferenza di genere ha fallito: solo nove donne elette in Consiglio regionale.

"Siamo concrete ma scarsamente ambiziose. Penso alla campagna elettorale di un uomo: pranzi, spuntini, aperitivi. Se lo facesse una donna immaginate come la guarderebbero. La situazione sta cambiando lentamente".

Lei ha perdonato i sequestratori: quando non è lecito assolvere un uomo?

"Si perdona per se stessi, per non farsi consumare dall'odio. È sbagliato perdonare per offrire agli altri una possibilità in più di farci del male".

Cos'ha fatto per recuperare un anno di vita?

"Mi sono dedicata all'aspetto investigativo, ai processi. Ho avuto la soddisfazione di aiutare gli inquirenti a scoprire le mie prigioni".

Crede nella giustizia?

"Così così".

Perché?

"Ho condiviso il lavoro ma si poteva fare di più, scoprire altre tessere del puzzle. Chi portava avanti le indagini è rimasto appagato per aver trovato qualche cosa".

Cos'altro potevano fare?

"So di aver contribuito ad arrivare fin lì. Mi aspettavo che qualche novità la scoprissero gli altri".

Paolo Paolini

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