Due inchieste diversissime hanno prodotto due esiti politici sorprendenti, paradossali e paralleli: uno a destra e uno a sinistra. L'Italia è il paese dove tutto è possibile, e dove il cortocircuito perenne politica-magistratura è in grado di fondere qualsiasi fusibile, e si trasforma nella lampada magica da cui sempre salta fuori il genio dell'imponderabile.

Cominciamo dalla maggioranza gialloverde: non era un effetto desiderato, ovviamente. Ma alla fine il duplice filone di inchiesta sulla Diciotti (quello di Salvini più quello derivato su Conte, Di Maio e Toninelli) ha portato a questo risultato: ha finito per cementare la traballante alleanza fra M5s e Lega. Il governo Di Maio-Salvini non è nato il 4 marzo, ma oggi. Fino a ieri - infatti - i due partiti erano associati da un contratto firmato con una algida e burocratica procedura, in uno studio legale. "Non siamo alleati, abbiamo solo stretto un accordo di governo", dicevano addirittura i rispettivi ministri in tv. Da ieri invece i due leader sono diventati solidali a tutti gli effetti, uniti simbolicamente da un vincolo di sangue che è stato tenuto a battesimo con un voto parlamentare congiunto e gravido di simboli (il no al processo per Salvini votato in giunta al Senato).

Per arrivare a questo epilogo entrambi i vicepremier-capipartito hanno bruciato i ponti dietro le loro spalle. Salvini ha spiegato ai suoi, subito dopo il voto in Abruzzo: "Noi non andremo mai al governo con Berlusconi. Mai!".

Bisognerebbe aggiungere, per spiegare meglio cosa ha in mente il ministro dell'Interno: mai al governo con il centrodestra finché Berlusconi è in politica. Un ministro leghista mi ha spiegato il concetto - ovviamente off record - con queste parole: "Matteo è convinto che non possa esistere nessuna maggioranza politica, in questo parlamento, senza il M5s".

Con tono altrettanto esplicito Stefano Buffagni, sottosegretario De M5s, potente proconsole di Luigi Di Maio, mi ha illustrato come il M5s vede questa situazione: "In ogni tavolo che abbiamo fatto fino a ieri c'era un momento in cui i leghisti avevano un momento di bossismo gutturale e si mettevano a gridare: "Basta! basta! Adesso ci siamo stancati: si va al votoooo!". Poi - aggiunge Buffagni con un sorriso - scattava l'altra modalità, quella leghista pragmatico di governo e si trovava sempre un accordo. Io so che non romperanno perché loro capiscono che noi, il partito più giovane della politica - conclude il sottosegretario - abbiamo rigenerato politicamente loro, ovvero il partito più antico della politica italiana".

Questo era lo Stato dell'arte fino a ieri. Ma il voto spinge sia Salvini che Di Maio oltre i confini noti. Pensateci: il voto in giunta è il primo atto politico rilevante che viene compiuto fuori dal recinto dell'accordo di programma. Ed è un voto in cui entrambi i leader, in parallelo prendono la loro decisione pagando un prezzo per farla passare. "Se i dissidenti non sono d'accordo - dice Paola Taverna - se ne vanno". È una sintesi perfetta, nella sua brutalità, di ció che pensa Di Maio in queste ore. E lo stesso spirito ha spinto Salvini a spiegare ai suoi che il patto gialloverde è l'opzione principale della Lega, mentre quella di centrodestra è solo la subordinata.

Un'altra inchiesta, poi, produce effetti non meno importanti a sinistra. Qualsiasi idea o giudizio si abbia su Matteo Renzi e sul renzismo gli arresti domiciliari di papà Tiziano segnano un punto di non ritorno nella storia politica dell'uomo di Rignano. E non perché producano direttamente degli effetti sullo scontro interno del Pd, ma proprio perché certificano un dato di fatto. Dopo aver ventilato, ipotizzato, programmato e disfatto scissioni, l'ex premier alla fine non ha scelto chiaramente cosa fare prima delle europee, è rimasto a metà del guado. Ma ora il varco si è richiuso e "Un'altra strada" in vista delle elezioni non c'è più. Tantomeno sull'onda di un provvedimento cautelare che ha avuto esiti drammatici per la sua famiglia.

Qui, l'effetto finale, è che - in politica esiste anche la fortuna, e come sappiamo non guarda in faccia a nessuno - la posizione di Zingaretti si rafforza ancora senza che il governatore del Lazio abbia mosso un solo dito.

Infine, ancora una volta la Sardegna diventa il territorio di un referendum sul centrosinistra a livello nazionale. Sarà l'ultimo voto prima delle europee: quella che Massimo Zedda ha messo insieme è la prima coalizione in cui il Pd non è più da solo perché c'è un altro attore politico perché la leadership del centrosinistra è affidata a qualcuno che ha una storia politica diversa da quella dei Dem.

La Sardegna diventa insieme il vero test per capire si se continua la crescita di Salvini e sia se il nuovo centrosinistra ha uno spazio più importante di quello conquistato dalla mini-alleanza sconfitta il 4 marzo. Ancora una volta, passata la tempesta delle inchieste, l'Isola diventa un laboratorio dove cresce, in stato di incubazione, la politica del futuro.

Luca Telese

(Giornalista e autore televisivo)
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