Secondo dati ufficiosi circolati nei giorni scorsi, il primo partito alle elezioni regionali, accreditato del 45-48%, risulterebbe quello del non voto. Si dovrebbe quindi ritenere che del milione e mezzo circa di sardi iscritti alle liste elettorali, in ben 680 mila potrebbero disertare le urne. Una disaffezione al voto che non è certo un bel segnale, in quanto rischia di inficiare la nostra salute democratica e di scalfire ancor più la fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni pubbliche.

Non vi è dubbio, infatti, che un astensionismo di quella dimensione sarebbe assai preoccupante, dato che per risollevarsi dal declino sociale in cui ci si trova, si avrebbe necessità di poter contare su di una rappresentanza politica eletta da un'ampia fascia di cittadini.

Se poi, alla diminuzione dei votanti, si aggiungessero le bizzarrie dell'attuale legge elettorale, potrebbe accadere che all'elezione dei nuovi sessanta Consiglieri - non diversamente, peraltro, da quanto accaduto nella consultazione del 2014 - concorra il voto di appena un terzo degli elettori. Infatti, se si dovesse confermare questa pessimistica previsione, e se la normativa elettorale, immaginata per il bipolarismo, dovesse portare a sterilizzare i voti raccolti da diversi degli attuali sette candidati governatori, la nuova Assemblea regionale si ridurrebbe a dover rappresentare non più di un elettore sardo su tre. E non sarebbe per la Sardegna - diciamolo chiaro - un risultato positivo ed incoraggiante. Oltre ad apparire un evidente vulnus di costituzionalità.

Occorrerebbe quindi far sì che il partito dell'astensione perdesse parecchio della sua consistenza, in modo che alle urne si rechino molti più elettori. Eliminando od attenuando le cause che, fin qui, hanno originato questa preoccupante escalation assenteista. Che parrebbero diverse, a giudizio degli osservatori più attenti. Oltre all'astensionismo cosiddetto strutturale, determinato da gruppi sociali meno attrezzati sul piano culturale e socialmente più deboli (che potrebbe valere tra il 10 ed il 12%), si è via via aggiunto quello consapevole, formato da quanti intendano manifestare con il "non voto" il loro dissenso verso la politica ed i suoi attori: un incremento costante che avrebbe raggiunto, nelle ultime regionali, circa il 35%.

Ma chi sarebbero questi non votanti consapevoli? Secondo alcuni, andrebbero individuati in prevalenza fra i giovani, cioè in quella generazione che ha sofferto maggiormente delle disattenzioni e delle insufficienze dell'attuale politica, tanto da chiamarsene fuori, non condividendone né la rigida composizione né gli incomprensibili rituali. A loro andrebbero poi aggiunti quanti hanno via via perso ogni fiducia nelle reali capacità dei candidati proposti dai vari partiti di saper ben governare l'isola, o perché non trovino, nelle diverse opzioni elettorali, delle valide soluzioni ai tanti malanni che ci angustiano. Ci sarebbe ancora un'altra causa: quella riguardante la scomparsa dei partiti storici (in primis Dc e Pci), che con le loro organizzazioni territoriali riuscivano in passato a mobilitare tutti i loro iscritti (anche i più recalcitranti) ed a portarli alle urne.

Alla base di tutto c'è quindi una crisi profonda della nostra classe politica. Forse la stessa proposizione delle candidature, così come prevista dalle leggi elettorali, ne ha esaltato l'autoreferenzialità e, per altri versi, ne ha acuito le distanze dalle realtà sociali di riferimento. Questa dicotomia avrebbe fatto sì che le scelte politiche badassero sempre più agli interessi contingenti dei diversi schieramenti, piuttosto che perseguire l'obiettivo di indirizzare l'attività del governo regionale verso gli interessi generali dei sardi. D'altra parte, una classe politica che si avvita solo su se stessa, e in più fortemente condizionata da collateralità clientelari, risulterà sempre meno permeabile all'ascolto ed alla soluzione dei problemi riguardanti la globalità dei cittadini.

I temi affrontati dalla campagna elettorale, e per altro verso, il frenetico attivismo decisionale messo in atto in extremis dall'attuale governance politica regionale, ambedue in chiara sudditanza di forti ipoteche clientelari, confermerebbero appieno questa pericolosa ed invalidante deriva democratica. Per riuscire a scongiurarla, bisognerebbe augurarsi che le previsioni non ci abbiano preso, e che il 24 febbraio vadano alle urne almeno due terzi degli aventi diritto.

Paolo Fadda

(Storico e scrittore)
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