Per chi ben la conosce, sa che la storia dell'industrializzazione in Sardegna è andata sempre di pari passo, con i suoi ripetuti "avant e indré", con quella dell'energia. Perché l'energia è considerata l'elemento vitale d'ogni industria, da quella manifatturiera a quella digitale.

Ed è per questo che affrontare la questione energetica - nell'origine, nelle disponibilità e nei costi - è divenuto determinante per porre fine al declino industriale che affligge l'Isola. Si è ora aggiunta anche l'urgenza, poiché fra sei anni si dovranno chiudere, per disposizione governativa, le due centrali a carbone (Fiumesanto e Portovesme) che oggi producono circa il 40 per cento del totale dell'elettricità dell'isola.

Per le coincidenze storiche andrebbe ricordato come, giusto un secolo fa, la prima industrializzazione sarda la si dovette all'elettricità prodotta dalle dighe fluviali volute da Angelo Omodeo e alle iniziative elettrochimiche di Giulio Dolcetta; un rapporto che si sarebbe ripetuto mezzo secolo dopo, negli anni delle grandi industrie energivore, con l'elettricità low-cost prodotta dal carbone del Sulcis per l'iniziativa di Giorgio Carta e con il sogno autonomistico dell'Ente elettrico sardo di Pietro Melis.

Questi i due principali passi in avanti, mentre per quelli all'indietro occorre rifarsi alla progressiva marginalizzazione della primogenita fonte energetica rinnovabile (l'acqua dei nostri fiumi) e agli incerti produttivi delle miniere carbonifere del Sulcis.

Da allora, e per almeno una quarantina d'anni, sarebbe iniziata la nostra dipendenza energetica, perché ad alimentare le produzioni elettriche isolane avrebbero provveduto quasi interamente carbone e olio combustibile, entrambi d'importazione estera.

Questo fino all'inizio del nuovo secolo quando, grazie all'entrata in funzione di impianti per l'energia rinnovabile, si cominceranno ad erodere le quote di produzione degli impianti termoelettrici, passate dal 97 al 76 per cento ma con il carbone ancora sopra la metà. Ed è poi questo dato che rende urgente il dover affrontare il problema, con delle iniziative sostitutive che, per i tempi tecnici necessari, sarebbero dovute partire già... …ieri. Perché, se si chiude una fonte, si dovrebbe poter contare su delle fonti alternative, siano delle nuove produzioni da rinnovabili, o con la costruzione di un gasdotto da sud a nord dell'isola o con delle interconnessioni sottomarine con la rete metanifera nazionale. Soluzioni che hanno, come è facile intuire, una tempistica non breve, ed il 2025 è dietro l'angolo.

C'è poi, e non va dimenticato, da affrontare lo scoglio delle compatibilità ambientali che hanno già riguardato il fermo di diversi parchi eolici e fotovoltaici e la ferma ostilità degli ambientalisti nei confronti del metanodotto e dei depositi costieri di GPL. Ed è poi questo il passaggio assai difficoltoso che fa assumere centralità alla questione energetica per una sua definitiva soluzione in una prospettiva di ripresa economica dell'isola. Ponendo come principale nodo da sciogliere (o, comunque, da definire regolamentandolo) il problema della sostenibilità-compatibilità ambientale degli insediamenti energetici, messa proprio in discussione da certi negazionismi d'abord.

Si tratta quindi di venir fuori dalla logica dei divieti preconcetti per affrontare responsabilmente il problema attraverso la fissazione di precisi limiti e condizioni per la compatibilità. Non vi è dubbio alcuno che si è di fronte ad un problema eminentemente politico, che non va più eluso dal governo nazionale, in modo da porre fine al clima di incertezza e di contrasto esistente, come emerso anche dalle affermazioni fuorvianti dei due superministri nelle loro recenti visite nell'isola. Seppure il "phase-out" del carbone incomba, non si ha ancora alcuna certezza né degli interventi possibili, né degli investimenti necessari per far fronte alla decarbonizzazione energetica.

In più parrebbe esser stata addirittura ignorata, se non proprio rimossa dai proponimenti dell'attuale ministro dello sviluppo economico, l'equazione "più energia=più industrie", su cui ovunque si è realizzato lo sviluppo industriale. Il caso dei troppi NO con cui si va costruendo in questi ultimi tempi il consenso da parte delle forze politiche in auge, rende ancor più preoccupante, oltre che indefinito, lo scenario economico futuro della Sardegna. Con il rischio d'avere sempre meno energia e di rimanere senza più industrie.

Paolo Fadda

(Storico e scrittore)
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