Spira forte il vento elettorale, si moltiplicano gli slogan, impazzano le false promesse, impera un'imbarazzante vacuità. L'impressione è che chiunque vincerà (non essendoselo prefissato) non riuscirà a combinare nulla di concreto.

Continuano a sventolare, in (quasi) tutti gli schieramenti, le bandiere di destra e sinistra: sempre utili ad orientare gli elettori. Se non altro hanno il pregio dei cartelli stradali: non si sa chi li ha messi, se sono veritieri ma, nel dubbio, conviene seguirli.

Tornano così a mente le lunghe discussioni che, sin da bambini, si facevano sull'essere di destra o di sinistra. Discussioni molto spesso tra sordi, rivolte com'erano ad affermare la propria verità piuttosto che ad ascoltare quella altrui, facendosi largo tra i consueti pre-giudizi.

Toccava ad esempio spiegare che essere di sinistra non significava abbracciare, come modello di vita, l'operaismo; rotolarsi gioiosi nel grasso dei motori, fare il bagno negli idrocarburi o giocare con le chiavi inglesi. Così come non poteva cavarsela chi, da destra, diceva: "Io sono per l'ordine".

È venuto poi il tempo di spiegare, anche a chi si professava di sinistra, che per poter garantire servizi adeguati lo Stato doveva essere efficiente. Non poteva essere usato come occupatore seriale per aspiranti al posto fisso, né alimentare simili aspettative. Era del resto intuibile che uno Stato inefficiente avrebbe finito col diventare un nemico, dando ragione a chi sosteneva che di esso si poteva fare a meno, ridurlo al minimo e lasciar spazio al mercato.

Nel Mezzogiorno, in particolare, l'impresa era ancor più ardua. Ogni sforzo orientato a ottimizzare risorse, gestire meglio la macchina pubblica finiva col cozzare con lo spirito caritatevole del politico di turno che chiedeva di "dare una mano" a questo o quel bravo ragazzo, per superare un concorso, avvicinarsi a casa, ottenere una promozione.

Quanto poi alla spesa pubblica, spuntava sempre il povero Keynes, tirato per la giacca a giustificare imponenti investimenti pubblici, quasi mai produttivi, che da occasionali dovevano diventare permanenti. E l'economia, invece che stimolata, sopita per sempre: tanto ci pensa lo Stato. Così si sono costruiti ospedali per fare posto ai medici, Università per occupare docenti, opere pubbliche, a volte inutili, faraoniche e spesso incomplete. Col risultato che, oggi, sugli statalisti incombe l'onere di giustificare, specie al sud, strade chiuse, Facoltà deserte e ospedali che fanno vittime, invece di curarle.

È arrivato infine il tempo in cui occorre capire che (come diceva Eraclito) nulla resta uguale a se stesso, neppure il socialismo o il liberismo. Non è infatti la stessa cosa essere di sinistra o di destra nello Stato ottocentesco, nella UE, nella globalizzazione. Cambiano la dimensione spaziotemporale, il gioco e le sue regole. E spesso saltano tutti gli schemi, un po' come giocare una partita, in uno stadio, e vedere la gente scendere dagli spalti, entrare in campo e mettersi a giocare con te (o contro di te).

Ma questa necessaria riflessione politico-culturale non è mai stata intrapresa, né a destra né a sinistra. Basta leggere gli odierni programmi elettorali: sono fermi al secolo scorso. Tornano quindi comode, nella vacuità generale, le antiche bandiere, all'ombra delle quali si praticano sovente politiche opposte, o più spesso non-politiche. L'elettore è gabbato ma l'inganno funziona. Tocca quindi al cittadino affrontare le sfide di oggi, oltre i simboli, gli stornelli, le bandiere. E magari capire che chiedere più autonomia territoriale non è sovranismo di destra: è provare a gestire al meglio i propri beni pubblici; accogliere migliaia di giovani africani per abbandonarli nelle strade a fare i parcheggiatori abusivi non ha nulla di sinistra e rischia di alimentare il razzismo, non di scongiurarlo; dare un reddito assistenziale a chi resta a casa non lo aiuta a crescere professionalmente e alimenta il mercato nero, senza assicurazione, previdenza e senza gettito fiscale; assumere 12.000 persone per fare le pulizie nelle scuole (invece che docenti) significa mandare i propri figli a farsi candeggiare, non a farsi istruire.

Sono scelte di destra o di sinistra? No; di buon senso? Neppure. Populismo? Forse. L'Enciclopedia Treccani parla di "un atteggiamento ideologico che, sulla base di principi genericamente ispirati al socialismo, esalta in modo demagogico e velleitario il popolo come depositario di valori totalmente positivi". Questa esaltazione non è casuale e produce i suoi frutti. Una volta acquisito il più vasto consenso, magari online, il gioco è fatto. Il politico, come ha ben spiegato James Buchanan (premio nobel per l'economia) non perseguirà il bene comune ma il proprio, in termini di immagine e di carriera. Cercherà di costruirsi una rendita di posizione e (spendendo i danari dei contribuenti, non i propri) lascerà il conto alle nuove generazioni. Pensiamoci dunque e valutiamo bene le forze politiche alla luce dei loro programmi concreti. Al buio le bandiere sono tutte uguali.

Aldo Berlinguer

(Professore ordinario Università di Cagliari)
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