Dopo settant'anni di autonomia, l'assemblea regionale si è decisa a varare una legge sulla valorizzazione della lingua sarda e delle altre lingue minoritarie. L'intento è meritorio, meno la sua implementazione, affidata ad una Consulta di 34 persone, nominate dalla politica, che dovrà definire lo standard linguistico: un'opera improba senza un tempo prefissato, che quindi verosimilmente languirà all'infinito.

Anche altre politiche linguistiche, in passato, non hanno avuto esiti concreti: non la Lingua sarda comune (LSC), non molte decine di progetti, variamente intitolati e finanziati dalla Regione Sardegna. Risultato: il sardo sta lentamente evaporando e coloro che rivendicano urlanti la propria identità sono i primi a perderla, dimenticandosi, ogni giorno che passa, come verbalizzarla.

Eppure non mancano i modelli virtuosi cui guardare. I norvegesi, ad esempio, hanno raggiunto una reale parificazione linguistica, consentendo agli studenti di apprendere sia in Nynorsk (nuovo norvegese) che in Bokmål (norvegese letterario), con un'offerta e materiali didattici in ambo le lingue. I catalani fanno altrettanto. La loro è una lingua comunitaria che deborda i confini politici e amministrativi della omonima regione. La comunità catalana si estende infatti, tra gli altri, alla Francia (Pirenei orientali), ad Andorra e proprio alla Sardegna (Alghero). Il catalano è lingua ufficiale: lo prevedeva già l'articolo 3 dello Statuto del 1979, affiancandolo allo spagnolo: lingua inserita in Costituzione.

Si sono così perseguiti due obiettivi: riconoscimento e parificazione, con un programma di diffusione e insegnamento volto all'eguale utilizzo di ambedue gli idiomi. Lo si è fatto con la legge n.7/1983 (approvata pressoché all'unanimità) e una politica linguistica centrata su quattro assi: amministrazione pubblica, toponomastica, mezzi di comunicazione, istruzione.

L'istruzione è stato l'asse preminente, col diritto/dovere di conoscere ambedue le lingue, catalano e spagnolo, e relativa certificazione prima di terminare gli studi obbligatori. Modello educativo seguito: l'interdipendenza linguistica concepita dai linguisti canadesi Lambert e Cummins con alcuni correttivi teorizzati da Basil Bernstein per attutire il riverbero sull'andamento scolastico del divario dei codici linguistici dei bambini dei quartieri disagiati.

L'immersione linguistica catalana ha raggiunto i risultati attesi, elevando enormemente il livello di conoscenza di ambedue gli idiomi. Ovviamente non sono mancate le censure, superate da una storica sentenza del Tribunal Constitucional Spagnolo del 1994: tutti e 4 gli articoli più significativi della legge 7/1983 hanno superato il vaglio costituzionale. Negli anni '90 e poi ancora col nuovo Statuto catalano (2006) l'autonomia linguistica si è rafforzata. Oggi il catalano è lingua ampiamente utilizzata dalla PA e nella comunicazione pubblica in Catalogna. Al contempo, il rafforzamento del catalano non è andato a pregiudizio dello spagnolo, il quale resta la lingua veicolare largamente più letta, anche per la forte internazionalizzazione della Catalogna.

Morale: occorre un massiccio sforzo politico, culturale ed economico per poter emulare, con i dovuti correttivi, il modello catalano. Chiave di volta: la convergenza delle forze politiche sarde. Strumento necessario: l'obbligatorietà nell'apprendimento, senza la quale ogni sforzo sarà vano.

Quali quindi le proposte? Procedere immediatamente alla ratifica della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie. L'Italia non l'ha ancora ratificata, 33 Stati membri del Consiglio d'Europa sì. Semplificare e integrare la legge regionale 22/2018. La lingua sarda è già oggi una, con varianti locali. Lo dice da troppo tempo anche l`Acadèmia de su Sardu, la quale va valorizzata, non rifondata, come vorrebbe la legge n.22 (art.24,c.2).

Occorre inoltre introdurre almeno una parziale obbligatorietà nell'apprendimento scolastico, magari preceduta da una sperimentazione. Ad esempio, mi piacerebbe immaginare che le annunciate 33 ore di educazione civica si tengano in sardo, nella variante territoriale in cui ciascuno si trova. Parallelamente: agiamo su PA, toponomastica, comunicazione pubblica. La lingua non è un simulacro. È uno strumento per leggere, interpretare e raccontare presente e futuro, non solo il passato. Se non veicola esperienza e contenuti è destinata a morire. Ed è ciò che sta accadendo.

Altra proposta: inserire il sardo tra i beni immateriali protetti dall'UNESCO. Se abbinata a produzioni artistiche e culturali uniche e eccezionali, che abbiamo, anche la lingua può diventare patrimonio dell'umanità. Aiutiamo infine a far capire a chi è abbagliato dal mito della modernità, obnubilato dal pensiero unico o più semplicemente distratto che questo grande bene, in quanto comune, è anche suo; costituisce le fondamenta della comunità sarda e, senza fondamenta, l'edificio viene giù.

Aldo Berlinguer

(Professore ordinario Università di Cagliari)
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