Non c'è nulla di peggio di quando la giustizia dipende dalla politica. E ne è un chiaro esempio il caso di Cesare Battisti, il terrorista "rosso", ex leader dei Pac, i Proletari armati per il comunismo, condannato in Italia in contumacia all'ergastolo per quattro omicidi, tutti risalenti agli anni Settanta, ma evaso da un carcere italiano nel 1981 e inizialmente rifugiato in Francia e lì protetto dalla cosiddetta "dottrina Mitterrand", la politica dell'allora presidente francese secondo cui i terroristi non venivano estradati se il Paese che chiedeva l'estradizione li avesse giudicati in contumacia.

In realtà i processi italiani a carico di Battisti furono ritenuti "equi" nel 2006 dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, che dichiarò manifestamente infondato il suo ricorso, affermando che nessuna lesione dei diritti della difesa si era consumata perché egli, pur latitante, ebbe sempre la difesa dei suoi legali, coi quali rimase in stretto contatto durante la latitanza. Solo allora Parigi acconsentì all'estradizione, ma Battisti era già fuggito in Brasile, dove fu detenuto dal 2007 e fino al giugno 2011.

Nel frattempo, il tribunale supremo federale brasiliano aveva autorizzato nel 2009 la sua estradizione in Italia, ma la decisione fu revocata dall'allora presidente brasiliano di sinistra Luiz Inacio Lula da Silva (tra l'altro, ora detenuto per una condanna penale), al quale in Brasile, dopo il nulla osta del tribunale supremo federale, compete la decisione sull'estradizione e che, finito il suo mandato, gli concesse addirittura lo status di rifugiato.

Lula negò l'estradizione motivandola sulla base della norma della Convenzione di estradizione del 1989 tra Italia e Brasile che consente di rifiutare la consegna se vi sono serie ragioni per ritenere che, se la persona richiesta fosse trasferita in Italia, verrebbe sottoposta ad atti persecutori o discriminatori a causa delle sue opinioni politiche o che la situazione di detta persona rischierebbe di essere aggravata per gli stessi motivi. Battisti fu quindi scarcerato nel giugno 2011, ottenendo il permesso di residenza permanente. Fu poi arrestato mentre cercava di fuggire in Bolivia, ma fu rimesso in libertà nell'ottobre 2017.

Cambiata la maggioranza di governo, il supremo tribunale federale del Brasile, con provvedimento immediatamente esecutivo, ha ordinato l'arresto di Cesare Battisti, per evitare il pericolo di fuga in vista di un'eventuale estradizione e il presidente brasiliano in carica, Michel Temer, ha firmato il decreto di estradizione, ma Battisti è latitante.

La questione presenta anche risvolti giuridici, perché la difesa di Battisti potrebbe ancora presentare ricorso al supremo tribunale federale, adducendo che il presidente della Repubblica non potrebbe più pronunciarsi in quanto sarebbe vincolato dalla precedente decisione, che aveva respinto la richiesta di estradizione. Ma la Procura generale sosterrà invece che la decisione che aveva negato l'estradizione sarebbe solamente un atto politico, che può essere modificato dal nuovo presidente.

Insomma, sia il presidente uscente sia il nuovo presidente di destra, Bolsonaro, vogliono ora concedere l'estradizione, ma Battisti è ormai uccel di bosco. In tutti questi anni la giustizia politica brasiliana ha ospitato, considerandolo un perseguitato politico, un terrorista che ha assassinato quattro persone, concedendogli addirittura lo status di rifugiato politico: come se noi in Italia lo avessimo condannato per le sue idee politiche e non per i quattro assassinii da lui perpetrati. La sconsolata conclusione è che questa giustizia, che cambia decisione al mutare del colore politico, deve essere un monito per tutti affinché la giustizia non dipenda mai dalla politica.

Leonardo Filippi, Docente Università di Cagliari

© Riproduzione riservata