L'Emmanuel Macron apparso l'altra sera in televisione per il suo appello ai "gilet jaunes" in rivolta sembrava un uomo costernato e con il capo cosparso di cenere. Il suo discorso contrito, ricordava, nei toni e nell'ampiezza della ritrattazione, il videomessaggio di Dolce & Gabbana dopo la catastrofe cinese. "Ho sbagliato", ha detto il presidente francese. "Mi assumo una parte di responsabilità", ha aggiunto. E poi ha annunciato: "Darò 100 euro di reddito di cittadinanza in più per i francesi, a partire dal 2019". Infine ha promesso 10 miliardi di spesa aggiuntiva e ha chiuso solennemente: "Oggi decreto lo stato di emergenza economico e sociale in Francia".

Nelle stesse ore, una donna affannata e terribilmente logorata, il primo ministro britannico Theresa May, sembrava essere lontana anni luce dai giorni spensierati in cui mimava spavalda un passo di ballo nel congresso dei conservatori. La bomba della Brexit le sta esplodendo in mano, l'accordo che ha faticosamente scritto traballa, e nel suo Paese viene attaccato - in queste ore - sia dai falchi che dalle colombe, sia da chi vuole uscire sia da chi vuol restare in Europa. Le ultime speranze di un esito positivo sono affidate ad un incontro della May con Angela Merkel: ma difficilmente il cuore del patto potrà essere rinegoziato. Se questa trattativa si chiuderà con un fallimento - dunque - sarà un terremoto sia per l'economia britannica sia per quella europea, che per la nostra (siamo un paese esportatore nei confronti del Regno Unito).

Tuttavia l'Inghilterra preferisce pagare un prezzo alto, piuttosto che investire nell'Unione, perché insicurezze sociali e illusorie speranze di protezione doganale ispirano una scelta apparentemente irrazionale.

In Spagna il clima è ancora più incerto. È emerso dal voto in Andalusia un nuovo partito di destra che erode consensi al Pp - il Vox - vacilla il consenso del socialista Pedro Sanchez, che già governa a Madrid senza maggioranza: oggi né il centrosinistra né il centrodestra avrebbero i numeri per un governo. Su tutti i paesi incombono le elezioni per l'europarlamento del 2019, che diventano non solo una sorta voto di fiducia per tutti i governi, ma una sorta di referendum sull'Unione.

L'aria da "indietro tutta" che si respira in Europa, dunque, può solo preoccupare. I soldi che Macron vuole erogare per placare la rabbia dei "gilet jaunes", i gilet gialli, verrebbero ovviamente spesi in deficit. Ma a quanto pare alcuni deficit sono "più uguali degli altri", se è vero che su quello dell'Italia si tratta fino all'ultimo decimale.

L'Europa, che in questo caso ha la faccia oggi severa del lussemburghese Claude Juncker, cioè dell'uomo che sta dettando correzioni alla manovra italiana, cerca di limitare nel tempo la portata della riforma delle pensioni di Quota Cento, del Reddito di cittadinanza, e i miliardi di spesa. I discorsi sul rigore, sui vincoli di bilancio, dunque, in queste ore sopravvivono in modo quasi schizofrenico al terremoto che sta travolgendo il continente: da un lato si limano "i numerini", dall'altro crollano gli argini che sembravano più solidi, in un paese che in rapporto al nostro è ricco e investe già molto in spesa sociale e culturale.

In virtù di questo paradosso Macron può regalare i suoi 10 miliardi ai francesi per provare a recuperare consensi in vista delle europee, la May può provare a ritrattare gli impegni che aveva solennemente sottoscritto, ma l'Italia e il suo governo continuano ad essere trattati come un vigilato speciale, un paese di furbetti. Tutto ciò non è soltanto iniquo, è miope. Il problema non è la sorte del governo gialloverde (e delle sue promesse), ma la tenuta del patto di cittadinanza italiano.

La lezione dei "gilet jaunes" è che non si può sottovalutare il rischio sociale. In Francia sono le periferie dell'impero che si ribellano all'autorità dello Stato: si tratta di non garantiti che oggi si sentono esclusi, di marginali che protestano contro il centro, di ceto medio impoverito. È la Francia profonda e rurale, che dice alla ricca capitale Parigi: io non posso pagare la tua tassa ecologica sul combustibile perché senza mobilità non sopravvivo.

Questa protesta, nata da un innesco in apparenza minimo come una accise sui carburanti (fra l'altro molto inferiore a quella che paghiamo in Italia) porta un presidente a dichiarare lo stato di emergenza.

Bisogna approfittare di questo terremoto per spiegare che l'Italia ha bisogno di investire subito in infrastrutture, di abbattere tasse e costo del lavoro, di mandare in pensione una generazione che ha già dato tanto al Paese, di liberare posti per i giovani. La lezione dei "gilet jaunes" è una sola: preoccuparci subito degli esclusi dal sistema Italia. Per evitare che i "gilet jaunes" diventino "giubbe gialle".

Luca Telese

(Giornalista, autore televisivo)
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