Da sempre, lo spazio politico non si chiede, si occupa. È quanto sta avvenendo in Francia nella vicenda dei gilet gialli, che protestano contro le accise nel silenzio della politica e dei partiti tradizionali. Anche la sinistra sembra distratta, balbetta, prigioniera dell'idea che l'uguaglianza debba raggiungersi con grandi, roboanti enunciazioni.

Gli aspetti fiscali, faticosi da interpretare, vengono spesso snobbati come tecnicismi e l'homo economicus sa di arido, non è mai piaciuto. Eppure le accise sono imposte odiose e inique per varie ragioni, tutte arcinote: 1) contano quasi due terzi del costo dei carburanti: a oggi, su un litro di benzina, quasi 90 centesimi sono accise e Iva. Tradotto: su 50 euro di rifornimento, solo 19 sono per il carburante, 31 vanno al fisco; 2) moltiplicano a dismisura altre imposte; infatti l'IVA si calcola anche sulle accise: quindi imposte su imposte; 3) gravano su un costo, non su un ricavo. Lo Stato non ti tassa quando guadagni ma quando spendi, angariandoti ulteriormente; 4) colpiscono a prescindere dal reddito. Non chi più ha, più paga; l'opposto: ne soffrono di più i deboli; 5) vessano chi vive in territori periferici, nelle isole (quanto pesano le accise sulla continuità territoriale?). Lo Stato ti danneggia quindi più volte: non ti dà infrastrutture adeguate e ti tassa quando usi la tua auto, magari da solo, senza neanche le economie di scala dei trasporti collettivi; 6) non colpiscono i petrolieri poiché essi le scaricano sul consumatore finale.

Inoltre, le portano in deduzione, per di più per competenza (non per cassa), grazie all'Agenzia delle entrate.

Poverini, si dirà, vanno aiutati. Infatti, nel 2015, la Corte costituzionale ha anche soppresso la Robin Tax, con un loro ulteriore "risparmio" fiscale del 10,5%. Sì, abbiamo capito bene: lo Stato rinuncia a tassare i profitti dei petrolieri per gravare sui consumi dei poveracci. La sinistra lo sa?

Ma c'è di più. Le accise, introdotte in via straordinaria per finanziare eventi remoti: guerra d'Etiopia, crisi di Suez, disastro del Vajont, negli ultimi anni sono state normalizzate: oggi sono dovute e basta, non chiedete perché. Inoltre, chi sopporta l'impatto ambientale della filiera petrolifera non gode di alcuna riduzione delle accise. Non i lucani che hanno i pozzi sotto casa. Non i sardi o i pugliesi, che ospitano la devastante raffinazione. Essi pagano il costo dei carburanti come e più degli altri senza capacitarsene. Come destinatari dell'accisa sono dunque loro gli accisi, non i produttori (a Napoli non avrebbero dubbi).

Il tutto perché ancora in molti credono in questo Stato. Il popolo ignora i luciferini meccanismi fiscali e la politica è impegnata ad occupare postazioni, sabotare leggi elettorali (e congressi) e a lottizzare ogni forma di vita. Eppure questa una volta sarebbe stata una battaglia "di sinistra". Oggi non entra neppure in quel radar, che infatti si sta spegnendo. Duole dirlo ma si preferisce andare sul sicuro e prendersela con i soliti feticci tradizionali: il liberismo, la santa Sede, il Viminale. Troppo rischioso intraprendere nuove sfide. Chissà che non "disorientino la base".

D'altronde non è una novità: discutere e interrogarsi (possibilmente per sempre) piace in certi salotti eruditi della politica. È comunque meno rischioso che scegliere, risolvere problemi, assumersi responsabilità. Lo diceva troppo bene Bertrand Russell: "Il male del nostro tempo è che gli stupidi sono sicuri di se, mentre gli intelligenti sono pieni di dubbi".

E così il popolo, abbandonato dalla politica, si rifugia in sé stesso: cioè nel populismo. Esso (che è meno bue dei suoi rappresentanti) in mancanza delle tinte di una volta (rosso, bianco, nero) assume colori nuovi: l'arancione, il verde, il giallo. Addirittura diverse tonalità: il giallo dei gilet è diverso da quello dei pentastellati.

Sono quindi i cittadini comuni, orfani di un progetto politico maturo e consapevole, costretti al fai da te. Sono loro a dover scendere in piazza per difendere i beni comuni (lo sono anche gli idrocarburi) col primo segno distintivo che capita. Il bello è che la politica, che li ha traditi, li guarda pure stizzita; gli chiede di essere silenziosi, ossequiosi e abbottonati.

Così, in attesa che qualche antica, nobile casacca torni a rappresentare i bisogni e le aspirazioni della gente (magari accorgendosi che essi sono in larga parte mutati) continueremo ad attingere dai colori della tavolozza.

In mancanza, li prenderemo a prestito dagli altri, come sta avvenendo oggi, nel pallore anemico italiano, con le prime, timide emulazioni della protesta francese. Non tarderanno a farsi più vive, non appena i francesi avranno conquistato l'agognata riduzione delle accise. A quel punto, noi rimarremo a bocca aperta, e asciutta.

Aldo Berlinguer - Professore ordinario, Università di Cagliari
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