Se volete capire cosa sta accadendo, dovete sottrarre al rumore di fondo sia gli accordi intonati della propaganda, sia il brusio dell'ostilità preconcetta: togliete al coro rumoroso di queste ore sia l'apologia a tutti i costi del governo, sia l'opposizione accecata che si eccita gridando "Forza Spread" (nella speranza vagamente suicida che un crollo dell'economia travolga la maggioranza gialloverde).

La partita con Bruxelles non è finita con la bocciatura della manovra, anzi è appena cominciata, e provo a spiegare perché. Sappiate anche che sul tavolo da gioco, dal lato dove siede il governo, ci sono ancora due carte coperte. La prima è il decreto sul reddito minimo, la seconda è quello su Quota 100, che (non a caso) non sono stati ancora resi pubblici.

Poi - per capire come gireranno le carte - dovete farvi un'idea di quanto durerà la partita con l'Europa. Non lo spazio fugace di un titolo di giornale, ma almeno sei lunghi e difficilissimi mesi: è un duello lungo, complesso, pieno di procedure e passaggi, una difficile partita a poker. Il primo passo, molto importante, è la scadenza del 4 dicembre, quando si riunisce Ecofin per discutere e valutare la gravità dei rilievi mossi all'Italia, in virtù della violazione dell'Articolo 16 comma 3 del Trattato. Pochi giorni dopo, a gennaio, la Commissione può proporre il deposito di una quota pari allo 0.2 del Pil (parliamo di una cifra come 3,65 milioni di euro, l'equivalente di una "manovrina"). Poi c'è quel numero a cui Lega e M5S fino a ieri si erano attestati, festeggiandoli come un gol: il 2.4% di spesa in deficit.

D ice oggi Salvini: «Penso che nessuno sia attaccato a quello: se c'è una manovra che fa crescere il Paese può essere il 2,2%, il 2.6%. Non è problema di decimali, è un problema di serietà e concretezza». Cosa significa? Che il governo non chiude la porta, e che ha due strade per condurre la sua trattativa: può abbassare il deficit al 2.2% sperando che l'Europa accetti (ma prima della bocciatura Bruxelles aveva fatto sapere in via informale che non avrebbe tollerato un solo decimale sopra il 2%). Oppure può rimodulare il modo in cui spende quei soldi, come dice ai suoi colleghi - off records - Paolo Savona: «Se dobbiamo trattare facciamolo, ma aumentando la quota degli investimenti». Ovvero incrementando i famosi 15 miliardi in tre anni su opere pubbliche e infrastrutture.

Sono due strade, e nessuno ha ancora scelto quale imboccare deduttivamente, anche a Palazzo Chigi. Per questo sul tavolo di Conte, nella cena con Juncker c'erano quelle due carte coperte. La demolizione della legge Fornero costa - secondo il Def - 7 miliardi l'anno. Ma basterebbe farla partire in estate invece che in primavera (con quella che tecnicamente si chiama una finestra di uscita) e il costo per il primo anno sarebbe più che dimezzato. Non è una soluzione nuova: anche gli 80 euro di Renzi costavano 10 miliardi l'anno ma facendo la riforma a metà anno, il primo anno a bilancio costarono la metà. Il reddito di cittadinanza invece costa 9 miliardi. Ma se si toglie quello che era già finanziato per il Rei, e si sottrae il miliardo e mezzo che è stato messo per riformare i centri per l'impiego, la cifra su cui si potrebbero realizzare dei risparmi scende a 5.7 miliardi. Anche qui ogni taglio avrebbe una conseguenza precisa: ridurre la platea degli assistiti (o la cifra delle erogazioni).

È così si arriva alle carte coperte. Ho parlato con il sottosegretario Durigon, il leghista che segue la riforma: «Il nostro decreto è già scritto. Costa poco, non sarà ritoccato: non lo abbiamo pubblicato solo perché aspettiamo di presentarlo insieme a quello sul reddito che non è pronto». Ho parlato con il professor Pasquale Tridico, il consigliere di Di Maio che segue il decreto sul Reddito: «Noi partiamo ad aprile. Il decreto è già pronto, stiamo aspettando che finiscano quello su Quota 100. Da aprile iniziamo ad erogare il reddito». Chi bluffa?

Come potrete vedere le carte sul tavolo sono coperte, non solo per Bruxelles. Se ci sarà da tagliare, ognuno dei due partner pensa che si dovrà fare sul procedimento più caro all'altro. Secondo l'Istat il Reddito produce un aumento di Pil dello 0.3%. Secondo Durigon Quota 100 porterà almeno 150mila nuovi posti di lavoro. Sarà vero?

Tuttavia l'Europa cresce poco e in Francia e Spagna annunciano di voler fare più deficit di noi (2.8% e 2.9%). La domanda è: cosa può permettersi di fare l'Italia, per rilanciare il suo Pil che è il più depresso d'Europa? Il secondo interrogativo è: chi durerà di più al tavolo da gioco tra il governo e una Commissione che sa già di giocare la sua ultima partita prima delle elezioni europee? E cosa faranno all'ultima mano Lega e M5s, che trattano, sapendo già che saranno giudicati dai loro elettori? Al tavolo verde c'è un altro giocatore invisibile: si chiama spread, e se sale fa lievitare tutte le poste. Ieri - a sorpresa - scendeva, come se i mercati credessero all'accordo. Hanno ragione?

Luca Telese

(giornalista e autore televisivo)
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