Una riflessione, alla vigilia delle elezioni regionali, su come il "cestino degli attrezzi" messo a disposizione dal vigente Statuto sia inadeguato ed inadatto ad operare nell'attuale congiuntura politica ed economica

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C'è un termine che ben individua di questi tempi il difficile rapporto che intercorre fra molti sardi e la Regione, qui intesa come l'insieme istituzionale di politici e di burocrati. Quel termine è sfiducia, che poi non è altro che il disconoscimento delle capacità di saper assicurare all'Isola, con un buon governo, benessere e progresso. Si tratterebbe di una revoca punitiva, figlia - come si sostiene - delle manchevolezze, delle insufficienze e delle lentezze con cui vengono affrontate, con i necessari interventi, le numerose e continue sofferenze che angustiano le nostre comunità.

Una decisa conferma di quest'atteggiamento la si riscontra nella messa in discussione della stessa Autonomia regionale, ritenendola inadeguata, oltre che poco autorevole, nei confronti di un centralismo statuale sempre più oppressivo e invadente. Per la verità, lo Statuto autonomistico che ha fatto nascere la Regione ha compiuto ormai settant'anni e, per quel che si vede, li dimostra proprio tutti. Invecchiato anzitempo, e depotenziato da troppe disattenzioni, avrebbe quindi necessità e urgenza di un'attenta revisione. D'altra parte un'analoga esigenza la si era avvertita più volte anche in passato, ma i diversi legislatori s'erano sempre dimostrati allergici e disattrezzati nel proporre le modifiche necessarie, tramutando così ogni tentativo in un aborto. Ora, con le elezioni regionali ormai alle porte, credo che il problema si riproponga in modo ancor più perentorio, per evitare che la crisi della Regione diventi del tutto irreversibile.

Diversi segnali avvertono che il cestino degli attrezzi messo a disposizione dal vigente Statuto appare del tutto inadeguato ed inadatto per operare nell'attuale congiuntura politica ed economica. Ai partiti ed ai movimenti politici che si sfideranno alle prossime elezioni regionali andrebbe affidata quindi la responsabilità di dover ridare pieno valore politico, e non solo normativo, all'Autonomia, adeguandone quindi i contenuti, gli strumenti ed i poteri ad un mondo che, da quel 1948, è profondamente cambiato. Negli equilibri geopolitici come negli scambi economici.

Tutto è diverso da allora anche qui in Sardegna. Settant'anni d'altronde sono il tempo di almeno due generazioni, e da allora le stesse esigenze e le attese delle famiglie sarde sono profondamente cambiate. Nel frattempo sono tramontate molte delle ideologie e dei miti d'allora, mentre sono sorti nuovi bisogni, differenti preferenze ed invadenti richiami.

Nel tempo trascorso anche lo stesso rapporto con lo Stato ha richiesto, e continua a richiedere, profonde modificazioni. Non lo si può più racchiudere nelle obbligazioni riparatorie dell'articolo 13 (quello del piano per la rinascita) o nei semplici riconoscimenti economicistici delle diseconomie geografiche.

Andrebbe infatti ricontrattato integralmente, visto che negli anni - e soprattutto nell'ultimo trentennio - s'è consentito che si accentuasse sempre più la sudditanza nei confronti dello Stato, tanto da riportare su Roma ogni potere decisorio sulle sorti dell'Isola. Non a caso saranno sempre più romane le sedi ove risolvere i nostri problemi: dalla crisi delle industrie alle scelte energetiche ed alle piccole abituali querelle sul prezzo del latte. Tanto da far dire a qualcuno che in Regione non si muove foglia che Roma non voglia!

C'è dunque l'urgenza d'invertire la rotta, di mettere un freno ad un sempre più esuberante centralismo. S'avverte quindi la necessità di dover definire, a breve, una nuova formulazione attuativa dell'Autonomia regionale che sia molto più autorevole politicamente e meno subalterna nelle decisioni.

Per attuarla occorre però che la politica stimoli un coinvolgimento unitario di tutta la società sarda, in modo da ottenere la forza contrattuale per riscrivere il patto con lo Stato, eliminandone le sudditanze e consentendone le concertazioni sulle scelte; in modo da poter rafforzare la Regione nei suoi poteri di governo, nelle sue competenze e nelle sue strumentazioni attuative, perché possa far partecipare l'intera comunità sarda a tutto il nuovo che avanza nel mondo.

Chiamatela Autonomia 3.0 o 4.0, o come volete, ma occorre realizzarla senza indugio.

Paolo Fadda

Storico e scrittore
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