Il commento del direttore sulla vicenda relativa agli accantonamenti in merito ai quali la Regione ha annunciato che non verserà nel 2019 285 milioni.

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Per spiegare la "truffa" di Stato sugli accantonamenti qualcuno ha scomodato persino Totò e Nino Taranto. Ricordate? In un mitico film dei primi anni Sessanta, Antonio Peluffo e Camillo rifilarono la fontana di Trevi a un ingenuo turista italo-americano. Si intitolava, la pellicola, "Totòtruffa '62". A noi sardi piace pensare di non essere ingenui. E, soprattutto, quando ci fanno arrabbiare, rovesciamo scrivanie. L'altro giorno il vicepresidente della Regione Raffaele Paci, con accanto il numero uno Francesco Pigliaru, ha detto chiaro e tondo a Stefano Fioretti per il Tg di Videolina che "il Governo ha truffato, ha truffato la Sardegna. Un gioco di prestigio con cui stanno imbrogliando i sardi".

Con il film di Totò gli elementi in comune sono due: la truffa e la città, Roma. Cosa è successo? Qualche manina, nei Palazzi della capitale, ha infilato nella manovra finanziaria dello Stato - sottraendoli al bilancio della Regione - 285 milioni.

Come un cane che si morde la coda, o un padre che mangia dal piatto di un figlio. Ma è tutto legittimo, da qualche anno a questa parte. Nel 2012 il Governo presieduto da Mario Monti (l'esecutivo dei Professori), nel decreto-legge sulla spesa pubblica, impose alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di concorrere a coprire i debiti dello Stato attraverso il meccanismo contabile degli accantonamenti. E così ci siamo trascinati sul groppone, noi sardi, centinaia di milioni all'anno per contribuire a coprire i buchi del bilancio centrale.

Come ha ricordato Giuseppe Meloni sull'Unione Sarda di venerdì, la Corte costituzionale, di recente, ha precisato che gli accantonamenti non possono essere eterni. Di più: l'Avvocatura dello Stato, l'organo legale dell'amministrazione centrale del Paese - non gli avvocati della Regione - ha disposto che dal 2019 verrà meno l'obbligo di versare il contributo imposto dal Governo Monti.

E così, dopo aver atteso inutilmente una convocazione a Roma o, quanto meno, uno straccio di risposta, il 25 ottobre l'amministrazione regionale ha annunciato che non verserà, nel 2019, 285 milioni. "Non sono dovuti".

Un vero gesto di ribellione politica verso uno Stato centrale sordo e muto. Ma chi ha predisposto la manovra, a Roma, si è messo pochi scrupoli davanti alle perplessità di Juncker e Moscovici, immaginate quanto fosse preoccupato per noi.

Ed ecco che Paci, venuto a conoscenza del torto subito, ha deciso di andare alla guerra: "Un imbroglio fatto sulle tasche dei sardi. L'ho già detto in altre occasioni e lo ripeto, non è una questione di destra o di sinistra". Il vicepresidente ha fatto bene a non farne, nemmeno questa volta, una questione di colori politici.

Pigliaru e Paci, lo scorso anno, incontrarono due volte Maria Elena Boschi, sottosegretaria alla presidenza del Consiglio nel Governo (amico) di Matteo Renzi. E se oggi parlano di truffa ai danni della Sardegna è anche perché quei tavoli rimasero improduttivi. Certo, accanto al ruolo dei politici, va messo in conto quello di chi gestisce i vertici amministrativi dei ministeri e della Ragioneria dello Stato, la cui visione non contempla l'interesse dei sardi.

Nella Finanziaria della Regione resta così una voragine di 285 milioni. A Cagliari (e a Sassari) un'idea su come utilizzarli se l'erano anche fatta: coprire in buona parte il disavanzo della sanità dopo una riforma che ha messo a più riprese a dura prova la tenuta della maggioranza.

Paci lancia un appello «ai nostri parlamentari», tutti. In attesa che i nostri eroi facciano cambiare idea ai burocrati romani (che sopravviveranno, statene certi, anche a Salvini e Di Maio), ci torna in mente Decio Cavallo. Chi era costui? L'ingenuo turista italo-americano (al secolo Ugo D'Alessio) cui Totò rifilò la fontana di Trevi. E visto che siamo ai titoli di coda, "ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale".

Emanuele Dessì
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