James Hogan è un signorotto australiano con le idee chiare. Sorride sempre, anche quando sta per comprare il 49% di Alitalia, in nome e per conto della Etihad, la compagnia degli Emirati Arabi. È l'8 agosto del 2014 quando sbarca a Roma per strappare all'ennesimo fallimento la compagnia di bandiera italiana. Le sue parole rievocano un catechismo commerciale carico di aspettative: faremo di Alitalia la compagnia più sexy d'Europa . Dopo tre anni, in effetti, la compagnia aerea è rimasta in mutande, come non mai. Numeri senza appello, costi alle stelle, sprechi ad oltranza. Un carrozzone italico da mille e una notte, destinato a schiantarsi nelle secche del piccolo cabotaggio, tra interessi clientelari e affarucoli di provincia. Intrecci di potere giocati nelle alte sfere della politica e della finanza.

I bilanci

I numeri, però, sono sentenze, i debiti condanne senza appello. Un divoratore assatanato di liquidità se, come emerge dai bilanci presentati nelle ultime ore dai commissari, il toccasana arabo-italiano ha continuato a generare una montagna di debiti. Un vortice capace di far scomparire ogni giorno la bellezza di 700mila euro. Ogni giorno, in cielo e in terra. Alitalia, dal 1974 ad oggi, ha applicato un metodo ormai consolidato negli anni: più buchi, più tappi. Un meccanismo virtuoso, per modo di dire, capace di generare un vero e proprio fiume di denaro pubblico da far rabbrividire le peggiori partecipazioni statali.

Basta un solo dato per capire di quale ciclopica entità stiamo parlando. Dal 1974 ad oggi Alitalia ha consumato come neve al sole l'enormità di 10,6 miliardi di euro, attualizzati ai giorni nostri. La metà di questa caterva infinita di denaro pubblico si è dissolta solo negli ultimi dieci anni. Li chiamano prestiti ponte, in realtà l'unico elemento che funziona è il ponte, a senso unico, solo andata. Il prestito, una volta lasciate le casse dello Stato, non è mai tornato indietro. Così come l'ultimo dei finti prestiti di Stato. Denari veri, mai restituiti. L'assegno lo stacca il governo Gentiloni: 900 milioni di euro. Non esiste all'orizzonte nessuna possibilità di restituirli, anzi, si parla con sempre maggiore insistenza di un ulteriore foraggiamento di altri 250 milioni di euro.

Gli sprechi restano tali, si consumano in ogni angolo dell'emisfero, dalle sfarzose sedi in giro per il mondo agli affitti esorbitanti di immobili e di aerei.

E stranamente le operazioni estero su estero, così come era accaduto per i noleggi milionari di Air Italy con il Qatar, funzionano a meraviglia. Gli Airbus 330, marchiati Alitalia, per esempio, sono già tornati a casa, ad Abu Dhabi. L'Etihad li aveva noleggiati alla compagna di bandiera italiana alla bellezza di 500mila dollari al mese. In realtà una perizia giurata ha dimostrato che tutt'al più potevano essere affittati a 295 mila dollari. Un flusso di denaro incontrollato e sotterraneo che nasconde una gestione economico finanziaria sempre giocata sul filo del rasoio.

I piani nell'Isola

Non è facile immaginare quanto e come la Sardegna rientrasse nei piani sexy degli Emirati Arabi e dei capitani coraggiosi, da Montezemolo a Colaninno, di certo la sfida è stata a chi faceva più cassa in terra sarda. Più che denari un prelievo forzoso e continuo per elargire, come se fosse una grazia ricevuta, qualche aereo per collegare la terra sarda con le sponde italiche. Una mietitrebbia di denaro sardo, pubblico, gran parte prelevato dalle tasse dei cittadini di quest'isola, capace di dirottare negli ultimi dieci anni nelle casse di Alitalia la sfrontata cifra di 400 milioni di euro, tra i 40 e i 50 milioni di euro ogni anno.

Un denarodotto che ha svuotato le casse sarde per riempire le fameliche pretese della compagnia di bandiera che, anziché servire l'isola con tratte e frequenze degne di questo nome, ha dilapidato in lungo e in largo i soldi dei sardi per riempire di aerei e frequenze le aree più ricche dello stivale. Prendiamo, per esempio, la connessione tra Roma e Milano, giusto per metterla a confronto. Esistono ogni giorno 40 voli Roma-Linate, 8 Roma-Malpensa e 8 Roma-Bergamo. Roma-Milano, come spiega l'organizzazione Onli, è, però, collegata anche con 104 Frecce Rosse giornaliere e 50 treni di Italo. In Sardegna qualche volo ogni 4/6 ore, notte esclusa. Nessun treno e nessuna macchina per solcare il Tirreno. Eppure la terra dei Nuraghi sovvenziona come nessun altra il carrozzone Alitalia.

I giudici

I numeri sono disarmanti. A metterli sotto il riflettore è la Procura generale della Corte dei Conti della Sardegna. Un decennio di soldi versati in solido, ogni anno e sempre di più, alla vorace Alitalia. Da quest'anno in Sardegna monopolio assoluto, dopo il tracollo di Air Italy. Padrona assoluta della continuità territoriale, ovvero il diritto sacrosanto dei sardi di potersi muovere a pari condizioni di costi e servizi con gli altri cittadini italiani ed europei. Non favori, ma diritti sanciti nei regolamenti comunitari, tradotti nelle leggi dello Stato e dimenticati nella vita quotidiana. Che la Sardegna sia diventata negli anni il bancomat dell'Alitalia è scritto nero su bianco in due documenti racchiusi nelle segrete stanze della continuità territoriale, a Roma come a Cagliari. Li pubblichiamo per stralci. Sono la prova provata di quanto è successo e sta ancor oggi succedendo sui collegamenti aerei da e per la Sardegna.

I documenti

Si chiamano allegati tecnici. Sono il cuore della continuità territoriale. L'Europa ha sancito una regola chiara con l'imposizione degli oneri di servizio pubblico: nelle regioni insulari si guadagna il giusto e non si specula sui voli. La Commissione Europea ha scolpito sulla carta dei diritti il modello di continuità territoriale. Il procedimento è semplice: si calcola il costo effettivo di un'ora di volo. In pratica si somma il costo del personale viaggiante, il carburante, la manutenzione, le assicurazioni, il catering, le operazioni di decollo e di atterraggio. Poi si calcolano le cosiddette spese generali e un «ragionevole utile d'impresa» che l'Europa ha fissato tra il 4 e il 6%.

Sulla continuità territoriale per la Sardegna il metodo di calcolo lo hanno capito bene. Peccato, però, che su tutte le voci di costo si registrino cifre esorbitanti e ingiustificate. E l'Alitalia ne gode a piene mani, ora su tutte le tratte, da Cagliari ad Alghero, sino ad Olbia.

Dai documenti, uno approvato dalla conferenza dei servizi del 2011 e uno dall'ultima del 2016, emerge un dato eloquente. Nel 2011 venne calcolato l'ammortamento degli aerei. Come se fossero stati appena comprati. Gli Airbus 320 venivano contabilizzati per un valore di 50 milioni di euro. Peccato che all'epoca quegli aerei avevano tutti la bellezza di 12/17 anni di vita. Con questo meccanismo si è continuato a far pagare alla Sardegna, ai sardi e ai passeggeri, aerei vecchi come fossero stati nuovi di zecca.

Nell'ultima conferenza dei servizi scompare di fatto l'ammortamento degli aerei: nel 2011 erano stati calcolati 1.786 euro per ogni ora di volo, nel 2016, invece, ne sono stati contabilizzati appena 732 euro. Peccato, però, che nel 2016 altre voci siano cresciute, dall'utile d'impresa, passato dal 4% al 5,6% a fantomatiche spese generali sempre più esose. Tutto questo nonostante il carburante sia passato da 915 dollari a tonnellata agli attuali 149.

Il costo dell'ora volata

I dati parlano chiaro: con un reale costo dell'ora volata la continuità territoriale si potrebbe reggere con l'imposizione di tariffe, tra i 40 e 50 euro, per i collegamenti principali da e per la Sardegna, sia per residenti e non residenti, anche se gli aerei fossero pieni al 70%.

E qualora venisse meno l'equilibrio finanziario e la sostenibilità economica della continuità territoriale il Parlamento ha già assegnato alla Sardegna altri 30 milioni di euro, poi diventati 90, con un preciso obiettivo: estendere la continuità territoriale anche ai non residenti.

Tutto questo se non ci fosse da foraggiare Alitalia. Un buco nero che ogni giorno consuma una valanga di denari che la Sardegna e i sardi pagano doppio, con l'obolo delle tasse statali e con quello della Regione. Ora l'Alitalia diventerà nuovamente compagnia pubblica, come non succede più da decenni nemmeno in Russia o in Cina. E a pagare il conto ancora una volta saranno, insieme ai sardi, i dipendenti della compagnia, bersaglio utile per coprire sprechi e vergogne di Stato.

Peccato che la realtà sia un'altra. Il costo medio per dipendente di Alitalia al netto degli oneri è di 48.000 euro procapite, in linea con tutte le compagnie europee. Alitalia spende, però, per la manutenzione il 40% in più di quanto spende qualsiasi altra compagnia europea dalla British Airways alla Lufthansa. Alitalia contabilizza costi superiori del 20% per la sosta in aeroporto, spende il 6,3% in più del costo del carburante rispetto alla media di tutte le altre compagnie. Più che sexy, una compagnia in braghe di tela.

MAURO PILI

Giornalista
© Riproduzione riservata