"Emissioni zero nel 2050? Una resa, non un investimento". Greta Thunberg, la giovane attivista svedese che sta scuotendo la sensibilità dei teenager (e non soltanto) di tutto il mondo, non ha usato mezzi termini di fronte alla commissione Ambiente del Parlamento europeo. "Se la casa brucia", ha incalzato gli interlocutori, " non si aspetta qualche anno per spegnere l'incendio. E' indispensabile iniziare a tagliare le emissioni in maniera drastica alla fonte fin d'ora".

Greta, con la sua consueta schiettezza, ha messo a nudo un problema allarmante chiamando l'Europa ad assumersi precise responsabilità e a compiere uno sforzo adeguato a favore del clima. "Non rinunciate alla vostre promesse e alla possibilità di dare un futuro sicuro ai vostri figli".

Il quadro, del resto, è chiaro da tempo: lo sforzo delle imprese europee per introdursi in una economia più pulita, negli ultimi anni, è stato consistente. Ma serve ben altro. Un recente studio di un'organizzazione no profit in collaborazione con un'importante società di consulenza globale, ha evidenziato che l'anno scorso, quasi 900 grandi aziende europee hanno investito 124 miliardi di euro, una cifra apparentemente enorme, ma che non è sufficiente neppure per stare al passo con gli obiettivi per lo sviluppo sostenibile concordati dall'Onu che indicano, appunto, entro il 2050 la neutralità climatica. Gli esperti sostengono che occorre raddoppiare gli investimenti in tecnologie a basse emissioni di carbonio e in ricerca e sviluppo passando dal 12% al 25%.

La ricerca è stata condotta su un campione di 882 imprese quotate in Borsa, le cui emissioni annue sono equivalenti ai tre quarti di quelle emesse dall'Unione Europea nello stesso periodo: la spesa in investimenti a bassa emissione di carbonio è stata di 59 miliardi, mentre di 65 miliardi è stata quella in nuove attività di ricerca e sviluppo. Investimenti che ridurranno di circa 2,4 giga tonnellate le emissioni inquinanti - superiori a quelle annuali di Regno Unito, Italia, Germania, Francia e Polonia - mentre i profitti aumenteranno di 40 milioni di euro. Il rapporto spiega anche che il valore potenziale delle nuove opportunità legate alle basse emissioni di carbonio è pari a 1.200 miliardi di euro, di 6 volte superiore al costo di avviamento che è pari a 192 miliardi di euro.

Nel dettaglio, le più importanti aree di sviluppo sono state individuate in ricerca nella mobilità elettrica e a guida autonoma per i quali sono previsti 43 miliardi di accantonamento; in energie rinnovabili (16 miliardi); infrastrutture della rete energetica (15 miliardi); programmi specifici per l'utilizzo dell'energia (8 miliardi).

Il rapporto illustrato dagli esperti ha sottolineato l'impegno di alcune imprese: la Acs costruzioni e servizi che ha stanziato 11 miliardi per progetti di bioedilizia e infrastrutture green; la Volkswagen che punta sui veicoli elettrici convinta che entro il 2025 costituiranno il 25% del totale delle vendite annuali con introiti per 59 miliardi di euro. Oppure una società elettrica che ha deciso di destinare 12 miliardi alla realizzazione di colonnine per la ricarica delle auto e per soluzioni di hardware e software.

Questo sforzo, enorme e senza dubbio encomiabile, si scontra tuttavia con lo scetticismo delle aziende leader nell'offerta di materie prime, tanto per intendersi quelle che producono cemento, prodotti chimici, accia, carbone. Un passaggio cruciale, considerato che su questo terreno, nel 2019, sono stati dichiarati investimenti per appena il 5% in tecnologie a basse emissioni di carbonio. Eppure queste aziende sono responsabili di quasi il 40% delle emissioni dirette.

Ecco perché l'eco delle parole di Greta Thunberg è ancora più forte. Tutti, come ha fatto lei a Bruxelles, hanno il dovere di rivolgere alla Ue, il suo stesso appello. Bisogna respingere l'immobilismo, ha ribadito con forza l'attivista svedese, perché l'obiettivo 2050 è troppo lontano. L'emergenza climatica non permette di esitare e l'Unione Europea ha l'obbligo morale di guidare il cambiamento.
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