Ore di tensione e di speranza per i lavoratori delle officine Sices Group, l'azienda metalmeccanica sita nella zona industriale di Porto Torres.

Dal 10 ottobre ci sono 57 disoccupati in più: la cassa integrazione straordinaria ha finito il suo corso durato 5 anni ed è scoppiata la disperazione. Attendono le risposte dell'azienda e lanciano un sos al Governo nazionale.

"L'aiuto all'azienda deve arrivare dal ministro Di Maio - gridano i lavoratori - perché non vogliamo vivere di assistenzialismo ma vogliamo produrre. Ci sono strumenti e attrezzature del valore di diversi milioni di euro ma soprattutto c'è la forza lavoro altamente qualificata che non può essere perduta. La nostra salvezza potrebbero essere le proposte di nuovi investitori in grado di far riprendere a lavorare le figure professionali come calderai, saldatori gruisti e muratori al 90 per cento portotorresi".

Nelle scorse settimane si erano intensificati gli incontri tra i vertici della società con sede legale a Lonate Ceppino in Lombardia e i segretari territoriali Uilm Vincenzo Monaco, Fiom-Cgil Gavino Doppiu e Fim-Cisl Enea Pilloni che hanno chiesto all'azienda di prorogare al 31 dicembre la scadenza della cassa integrazione.

"I responsabili dell'azienda - precisano i sindacati - hanno rinviato la riunione a lunedì prossimo per consentire al Consiglio di amministrazione Sices di approfondire il piano strategico del gruppo".

Una delegazione di lavoratori nel luglio aveva ricevuto una promessa di impegno dal sindaco Sean Wheeler. "Mi farò portavoce della loro vertenza - aveva detto- portandola all'attenzione del governo nazionale e in particolare segnalandola al ministro per lo Sviluppo economico Luigi Di Maio e al ministro per il Sud Barbara Lezzi, perché la città e il territorio non possono rimanere inermi davanti all'ennesimo rischio di chiusura di un'azienda".

Oggi in forte sofferenza economica, la Sices aveva fatto il suo ingresso negli anni '60 nell'area industriale turritana con un marchio di fabbrica che aveva distinto le grandi opere, come gli scambiatori di calore esportati negli Stati Uniti per essere destinati alla raffineria di New Orleans nella Louisiana.

Commesse estere che coprivano il 70 per cento delle produzioni raggiungevano i mercati dei paesi arabi, Cina, India, Africa, Stati Uniti ed ex Unione Sovietica, a testimoniare la professionalità dei metalmeccanici impiegati e la qualità dei prodotti finiti.
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