Una delle imprese più complicate in questo anno e più di emergenza sanitaria è stata sicuramente spiegare in maniera chiara, ma anche esaustiva, le problematiche scientifiche connesse al Coronavirus. Il rischio, infatti, era quello di banalizzare tematiche complesse oppure, al contrario, di essere incomprensibili al vasto pubblico. Tra le voci che si sono distinte per chiarezza e autorevolezza c’è certamente quella di Barbara Gallavotti, biologa e divulgatrice scientifica e presenza oramai fissa della trasmissione Dimartedì trasmessa da La7. Con lei proviamo a capire cosa abbiamo imparato dopo un anno di battaglia contro il Coronavirus e se c’è qualche elemento che ci può infondere ottimismo:

"Probabilmente l’elemento di maggiore ottimismo è il fatto che si vede la fine dell’emergenza. Quando riusciremo a vaccinarci più o meno tutti diminuiranno di molto i casi gravi e questo sarà già un gran risultato!".

Sarà la fine del pericolo Coronavirus?

"Per mettere fine al pericolo ci vorranno anche farmaci capaci di curare quei pochi che si ammaleranno in maniera grave".

Ma qualcosa abbiamo imparato da questa dura esperienza?

"Certo, e questo va messo tra le poche cose positive dell'emergenza di questo ultimo anno. La prima cosa che abbiamo imparato è che la salute è un problema globale. Se emerge un agente patogeno anche lontano da noi è facile che ci colpisca comunque. Bisogna quindi preservare la salute dell’umanità se vogliamo preservare la salute individuale".

E dal punto di vista medico-scientifico quali risultati l'hanno colpita?

"La lotta contro il Coronavirus ha fatto fare un balzo in avanti enorme nella messa a punto di alcuni nuovi strumenti biotecnologici, primi fra tutti i vaccini a mRNA. Questi vaccini si basano su una tecnica innovativa che potrà essere usata in molti altri campi, in particolare nella lotta contro i tumori".

Qual è il punto di forza di questa tecnica?

"In pratica permette di inviare un 'ordine' a una cellula perché faccia qualcosa di specifico, senza però che quest'ordine sia definitivo, che modifichi la cellula stessa".

La rapidità con cui si è arrivati al vaccino non è già di per sé una buona notizia?

"Certamente, ma proprio attorno al tema dei vaccini ci sono alcune lezioni da imparare, soprattutto da parte di noi europei".

Per esempio?

"Spesso ci lamentiamo del fatto che gli Stati Uniti e anche la Gran Bretagna sono stati più rapidi a ottenere i vaccini. Però le autorità statunitensi non si sono solo impegnate ad acquistare i prodotti vaccinali. Hanno finanziato la ricerca ad ampio raggio. E lo hanno fatto al buio, quando ancora non si sapeva neppure quale vaccino sarebbe arrivato alla meta. Così, una volta che si sono avuti i risultati, hanno potuto usufruire prima delle dosi in quanto ‘soci’ delle società farmaceutiche, non semplici clienti. Insomma, dobbiamo capire che non possiamo essere al traino di altri in questi campi di ricerca, ma dobbiamo esserne i primi finanziatori. Solo così saremo i primi ad ottenere benefici quando servirà un nuovo farmaco per la cura dei tumori o un nuovo vaccino".

Ma contro i virus abbiamo solo i vaccini come strumenti efficaci?

"Un altro insegnamento della pandemia è che dobbiamo dotarci di antivirali più efficaci. Fino ad oggi il problema con cui ci siamo scontrati è legato al fatto che i virus non sono organismi come i batteri, che puoi prendere di mira. Sono un qualcosa che entra nelle cellule e le ‘schiavizza’… Bisogna quindi trovare il modo di eliminarli senza danneggiare le cellule schiavizzate. Per questo servono nuovi medicinali, anche perché secondo i calcoli esistono negli ambienti selvatici oltre mezzo milione di virus pronti a fare il salto di specie e attaccare anche l’uomo!".

Meglio stare lontani da certi ambienti allora…

"Un'altra consapevolezza che ci deve venire da questa catastrofe che stiamo vivendo è che intaccare ed entrare in contatto con ambienti selvatici può essere molto pericoloso. Abbiamo quindi una ragione in più per prenderci cura degli ecosistemi oltre al riscaldamento globale".
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