Il 16 marzo saranno 43 anni da quel giovedì del 1978 in cui Aldo Moro venne rapito in via Fani dopo che la sua scorta era stata barbaramente trucidata dalle Brigate Rosse. Per l’Italia democratica cominciò un incubo e su quanto avvenne nella concitazione di quei giorni drammatici che portarono all’uccisione dell’uomo politico democristiano il 9 maggio molti sono ancora i misteri, molte le mezze verità.

Antonio Iovane, nel suo libro La seduta spiritica (Minimum Fax, 2021, Euro 16,00, pp. 176) prova a indagare su uno degli eventi più oscuri tra i tanti che compongono il cosiddetto Caso Moro. È il 2 aprile del 1978. In una villa vicino a Bologna alcuni professori, tra cui un giovane Romano Prodi, si riuniscono insieme alle loro famiglie per trascorrere una domenica spensierata. Qualcuno, per passare il tempo, propone di fare una seduta spiritica per trovare Aldo Moro, da diciassette giorni nelle mani delle Brigate Rosse. E gli spiriti rispondono, offrono degli indizi. Secondo il concorde racconto dei protagonisti di quel pomeriggio un piattino da caffè capovolto si mosse da solo tra le lettere dell’alfabeto disegnate su un foglio di carta formando la parola “Gradoli”, un nome – lo si scoprirà in seguito – a cui corrisponde una via di Roma dove si trova uno dei covi più importanti delle Brigate Rosse. Ma cosa accadde quel pomeriggio? Antonio Iovane prova a rispondere mettendo in ordine, uno dietro l’altro, fatti e testimonianze, mescolando finzione e reportage, interviste, memorie e autobiografia. Ma perché quell’evento di quasi 43 anni fa è ancora così importante da dedicargli un libro? Lo chiediamo direttamente all’autore: “Perché la riunione avvenuta a Zappolino il 2 aprile 1978 è la prima parte di una grande storia italiana. La seconda ragione, quella che forse mi ha colpito di più, è legata a quella che io considero la recita: nessuno dei partecipanti a quella seduta, in questi 43 anni, ha violato il silenzio. A tutt’oggi noi sappiamo ufficialmente che alcuni professori di chiara fama hanno arrangiato – non trovo altri termini – una seduta spiritica per trovare Moro e hanno ricevuto indizi dall’aldilà che, se ben utilizzati, avrebbero consentito di risalire al principale covo delle Brigate Rosse. I partecipanti non si sono mai spostati di un millimetro da questa versione, e ritengo questa caparbietà quasi ammirevole. Chi ha fatto domande ha dovuto arrendersi davanti a un muro. Non è una storia fantastica?”.

A farsi delle domande, per esempio, è stato primo fra tutti Leonardo Sciascia…

“Sì, c’è la figura di Sciascia che si staglia in tutta la vicenda, lo Sciascia più politico, sofferente e insofferente, catapultato a Roma dal suo buen retiro siciliano dopo essere stato eletto in Parlamento con i radicali e animato dal desiderio di una politica diversa. E che invece si trova a dover districare il groviglio esemplare del Caso Moro uscendone sconfitto. La sua è una figura che amo molto”.

Ma perché quella strana vicenda della seduta spiritica non è mai stata approfondita?

“È una delle domande da cui sono partito: perché non sono stati scritti non solo libri, ma intere biblioteche su una vicenda del genere? Come si fa a non appassionarsi a una storia così? Mi sono risposto che forse non c’era materiale a sufficienza, e invece se poi vai a spulciare tra le pagine degli atti delle commissioni parlamentari trovi tutto, basta mettere insieme le singole voci per ottenere una versione fin troppo coerente di quella domenica a Zappolino e anche per individuare le incongruenze da cui partire per formulare ipotesi. Approfondendo credo di avere trovato anche diverse risposte a interrogativi collaterali, come quelli che riguardano la presunta ‘retata’ avvenuta nel paesino di Gradoli quando uscì fuori l’informazione. L’unica risposta che mi sono dato, tuttavia, al silenzio pubblicistico intorno alla vicenda è che forse questa storia tocca dei nervi scoperti, rischia di fare irritare qualcuno, meglio lasciar perdere”.

Indagini sulla vicenda sono state fatte?

“Dal punto di vista giudiziario tutto si risolse in due paginette consegnate al giudice Francesco Amato, una dichiarazione sottoscritta da tutti i partecipanti adulti alla seduta spiritica in cui veniva riferito a grandi linee quello che era successo. In pratica il canovaccio che poi è passato alla storia. Poi ci sono state le diverse commissioni parlamentari, soprattutto la Commissione Moro I e la Commissione stragi, che hanno ascoltato i professori presenti alla seduta. Questo mi ha affascinato molto: constatare come i diretti interessati abbiano tenuto il punto su quella che, per me che non credo agli spiriti, è una chiara fandonia, e nello stesso tempo immergermi nel totale disarmo in cui si sono trovati senatori e deputati, come Sciascia, nel serrato confronto con Romano Prodi che racconto all’inizio del libro”.

La copertina
La copertina
La copertina

Cosa ci dice sulla gestione del caso Moro questa vicenda?

“Ci dice innanzitutto che Moro poteva essere salvato e che non fu fatto abbastanza, talvolta con atteggiamenti colposi, talvolta dolosi. Ci dice che l’inventiva non ci manca e ci conferma che siamo in Italia: mi chiedo se in paesi come la Francia una versione come quella della seduta medianica avrebbe trovato terreno fertile. E poi ci pone davanti a una domanda che spero coinvolga chiunque legga questo libro. Sì, d’accordo, può essere scandaloso che chi avesse elementi utili per rintracciare Moro partorisca un’idea simile per far uscire l’informazione. Ma se davvero la conoscenza di quegli elementi fosse stata condizionata a un patto del silenzio, voi cosa avreste fatto?”.

Aver ripercorso l’ennesima zona d’ombra, aver incontrato gli ennesimi – è proprio il caso di dirlo – fantasmi del Caso Moro che cosa le ha lasciato dentro?

“La frustrazione è quella pasoliniana: so ma non ho le prove, anche se ritengo che questa dichiarazione abbia fatto soprattutto danni, sdoganando le illazioni. Confesso di non avere una particolare curiosità per conoscere l’identità dell’autore della soffiata, è solo un nome che probabilmente, qualora venga rivelato, direbbe qualcosa solo a pochi. Inoltre, a tutti questi anni di distanza, conta poco, dal momento che non era il solo a sapere di Gradoli. Trovo molto più affascinante tutto quello che riguarda l’atmosfera della seduta, gli accordi presi, e ciò che si mosse e si è mosso in questi decenni nelle menti degli uomini e delle donne che vissero questa esperienza. In un certo senso, poi, tifo per il silenzio, affinché nessuno riveli mai quello che accadde, per il giallo senza soluzione. Come autore di romanzi, non vivrei senza le ombre”.
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