Per molto tempo Cristoforo Colombo è stato il simbolo della conquista del Nuovo Mondo. Era l’emblema dell’intraprendenza spregiudicata con cui l’Europa e gli europei avevano saputo imporre la loro egemonia sul globo.

Negli ultimi decenni l'immagine del navigatore genovese, invece, è stata rivisitata, criticata, attaccata per aver tradito, ridotto in schiavitù e sterminato gli indios che lo avevano accolto festosamente e pacificamente. Via i monumenti, via il suo nome da strade e piazze sono stati gli esiti di questa revisione storica che ha assunto a volte i tratti di una vera e propria demonizzazione.

Ma chi era allora veramente Colombo? Un grande navigatore, un colonialista ante litteram oppure entrambe le cose assieme. Giulio Busi nel suo recente Cristoforo Colombo. Il marinaio dei segreti (Mondadori, 2020, pp. 264, anche e-book) ci dimostra come non bastino un paio di definizioni in contrasto tra loro per definire il navigatore genovese. Nelle pagine di Busi scopriamo un eroe romantico, capace di superare ogni avversità e dotato di un enorme fascino personale. Incrociamo un genio dal carattere scontroso e testardo e un cavaliere che non conosceva la paura e, spesso, neppure la pietà. Soprattutto Colombo era un uomo immerso nelle dinamiche del suo tempo, un tempo di passioni, coraggio, ma anche violenza, sopraffazione, tradimento.

Così, ci rendiamo conto, pagina, dopo pagina, quanto poco sappiamo di Colombo e quanto ancora abbia da raccontarci quest’uomo vissuto in un’epoca, la fine del Quattrocento, in cui per l’essere umano si stavano aprendo orizzonti smisurati. A Giulio Busi, allora, chiediamo come prima cosa quali sono gli elementi che rendono ancora attuale Colombo, a più di mezzo millennio dalle sue imprese:

"Molti tratti della personalità del grande navigatore sono ancora attuali. Per esempio, per tutta la vita inseguì un grande progetto visionario e lo riuscì a realizzare perché mise da parte o almeno riuscì a superare la paura dell’ignoto. Poi la sua vicenda umana è affascinante: raggiunse i più grandi traguardi, ma allo stesso tempo incontrò enormi fallimenti. Non dimentichiamoci che da uno dei suoi viaggi tornò in catene per ordine dei sovrani di Spagna. E quelle catene le volle conservare in camera da letto come memoria perenne della 'riconoscenza' dei reali spagnoli. Poi la vicenda di Colombo è segnata dal continuo rapporto e confronto con il potere. Lo usa e lo subisce. Insomma, siamo di fronte a un personaggio sorprendente sotto molti punti di vista. Sorprendente e sfuggente".

In effetti Colombo sembra sfuggire a una definizione unica. Lei però lo considera prima di tutto un marinaio. Perché?

"Perché Colombo dava il meglio di se stesso quando era in mare. Sulla sua nave non sbagliava praticamente mai un colpo. A terra, invece, era più fragile, vulnerabile e commetteva errori anche tragici. Come marinaio invece era straordinario, quasi insuperabile anche se la sua carriera di navigatore è piena di segreti che ho cercato di svelare studiando le fonti esistenti. Per esempio, è quasi certo che per qualche tempo si sia dedicato alla pirateria".

Colombo un pirata?

"Quasi certamente sì. In una lettera parla di un assalto a una nave che ho cercato di identificare per capire meglio chi sia stato veramente Colombo prima di scoprire il Nuovo Mondoi. Cosa non facile perché nelle fasi successive della sua vita in navigatore genovese cercò di non dare grande risalto al suo periodo piratesco".

Una personalità non semplice quindi da delineare...

"Ritrovare la complessità dei personaggi è per me la cosa più bella ed emozionante di scrivere una biografia partendo dalle fonti. Il mio obbiettivo è quello di restituire nei miei scritti delle personalità a tutto tondo, non focalizzandomi solo su uno o due aspetti. Colombo era un uomo del Rinascimento, era estremamente curioso, aveva una vasta cultura anche se era totalmente autodidatta. Proveniva da una famiglia probabilmente umile e riuscì a fare un salto sociale incredibile. Come dico nel libro è nato lanaiolo e morto ammiraglio del mare oceano. Era l’espressione di un’epoca in cui un mercante genovese poteva comandare una squadra navale della corona di Spagna e condurla ad attraversare l’oceano percorrendo una rotta sconosciuta".

E come si concilia questa immagine di Colombo con la demonizzazione a cui la sua figura è sottoposta negli ultimi anni?

"Colombo è stato un simbolo della conquista del Nuovo Mondo e in questo senso è una figura molto problematica e ambigua. Da storico però io preferisco capire piuttosto che condannare a priori senza neppure aver conosciuto e studiato il personaggio. Come scrivo nel libro prima di condannare Colombo senz'appello, facciamolo almeno cominciare. Godiamo con lui l'ebbrezza della partenza, lasciamo che prenda il mare, aspettiamo che sogni il suo sogno".

Dalla Galizia alla Catalogna, dal Portogallo alla Polonia, a Colombo sono state attribuite infinite patrie. Ma alla fine era veramente genovese?

"Leggendo le fonti tutti, compresi quelli che gli erano ostili, lo consideravano un genovese e quindi un italiano. Una volta partito da Genova, però, non vi farà più ritorno perché per la sua avventura aveva bisogno di risorse che l’Italia divisa in piccolo Stati non gli poteva dare".
© Riproduzione riservata