I tempi del coronavirus ispirano fake news d'ogni genere. Ma non sono solo il prodotto avvelenato dell'era del web. In passato circolavano eccome, perché la disinformatia è tecnica d'ogni tempo. Allora per tutti erano semplicemente bufale. La più clamorosa della Prima repubblica porta al lago della Duchessa, specchio d'acqua a quasi 1800 metri di quota, sull'Appennino tra Lazio e Abruzzo. E' la primavera del 1978, la stagione più buia della storia repubblicana segnata dal sequestro del presidente della Democrazia cristiana Aldo Moro. Lui è nelle mani delle Brigate rosse dal 16 marzo, giorno della strage di via Fani in cui vengono uccisi i cinque agenti della scorta. Il lago della Duchessa è ghiacciato anche in primavera, ma un falso comunicato delle Br annuncia che lì si trova il corpo dello statista democristiano. E' il 18 aprile del 1978. Gli artificieri della Guardia finanza mettono due cariche di esplosivo per aprire un varco nella lastra ghiacciata del lago. Un sommozzatore e qualche cane cercano tracce umane. Invano. La Democrazia cristiana prepara subito i manifesti del lutto da affiggere con il volto di Moro e il messaggio: . Saranno pronti quando si compirà l'atto finale, il 9 maggio, con il ritrovamento del corpo di Moro in via Caetani, dentro il cofano di una Renault 4 rossa.

Il comunicato numero 7, trovato con una copia del quotidiano Paese Sera, è un testo di 18 righe, meno delle solite ricorrenti nelle comunicazioni dei brigatisti. Ci sono l'immancabile stella a cinque punte e l'intestazione Brigate rosse. . Consentiamo il recupero della salma, fornendo l'esatto luogo ove egli giace. La salma di Aldo Moro è immersa nei fondali limacciosi del lago Duchessa, alt. mt. 1800 circa, località Cartore>. Linguaggio diverso dalla abituale narrativa brigatista, qualche errore di cui non c'è invece traccia nei comunicati precedenti. Quel testo viene fatto ritrovare solo a Roma, in un cestino dei rifiuti in piazza Gioachino Belli, con una telefonata al quotidiano Il Messaggero. Messaggio non per tutti convincente. Comunque su quei monti della provincia di Rieti, vicino a L'Aquila, scattano le ricerche: un elicottero dell'esercito raggiunge i monti innevati, sorvola il lago ghiacciato in lungo e in largo mentre a terra in tanti perlustrano l'area. Finisce con un nulla di fatto. Inverosimile pensare che i brigatisti si fossero inerpicati lassù. Di sicuro qualcuno ha voluto intorbidire le acque in quella drammatica vicenda piena di ombre, tanto più che la giornata del 18 aprile si apre con la scoperta del covo - questo vero - di via Gradoli, a Roma. Una perdita d'acqua dal soffitto consente di trovare un alloggio pieno di carte brigatiste e di armi. Covo cosiddetto caldo, lasciato poche ore prima, dove si trova di tutto: dai biscotti ai documenti d'identità falsi intestati a Borghi Mario, nome di copertura di Mario Moretti, capo delle Br e uomo chiave di quei terribili 55 giorni pieni di segreti, menzogne, silenzi e misteri; a lui è affittato l'appartamento-prigione. E lì si trova la quotidianità dei brigatisti, dal pane e dalla frutta a una varietà di armi pronte all'uso, alla giacca da aviere che sarebbe stata utilizzata per compiere la strage di via Fani.

Gradoli è un nome saltato fuori quindici giorni prima in un modo davvero incredibile. Il futuro premier Romano Prodi riferisce di averlo appreso nel corso di una seduta spiritica che indica Gradoli come possibile prigione di Moro. E' il 4 aprile e gli investigatori vanno a vedere nel paese di Gradoli, sulla strada per Viterbo, tra casolari abbandonati. Naturalmente finisce con un nulla di fatto, ignorando la via Gradoli, a Roma, nonostante i familiari di Moro suggerissero di fare lì le verifiche. La seduta spiritica, versione che copre altre dinamiche da tenere evidentemente segrete, è un'altra bufala che accompagna quei 55 giorni terribili, culminati con l'assassinio del leader democristiano.
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