"È gran miracolo che io non abbia rinunciato a tutte le mie speranze perché esse sembrano assurde e inattuabili. Le conservo ancora, nonostante tutto, perché continuo a credere nell'intima bontà dell'uomo. Mi è impossibile costruire tutto sulla base della morte, della miseria, della confusione".

Mette i brividi pensare che una ragazzina di appena 15 anni abbia avuto la maturità di scrivere queste parole. Quella bambina si chiamava Anna Frank e con il suo diario, scritto in quell'alloggio segreto in cui per pochi anni la sua famiglia ha trovato rifugio dalla follia di nazista ha lasciato una traccia indelebile, una profonda testimonianza del dolore di un popolo intero.

In quelle centinaia di pagine, che ogni ragazzino (e anche qualche adulto) dovrebbe leggere, si entra subito a contatto con lo strazio, con quel soffocante senso di ingiustizia che si prova ogni volta che si racconta lo sterminio del popolo ebraico. Un mondo terribile che Anna è riuscita a rendere "leggero" al suo cuore di bambina costretta a vivere reclusa, con un'allegria e una speranza nel futuro che spezza il cuore. Perché il suo ottimismo e la sua speranza stridono con quel finale che Anna non poteva conoscere, con quel destino di questa bambina costretta a diventare donna troppo in fretta per affrontare l'inferno dal quale non ha trovato scampo. E si prova un senso di angoscia al pensiero di quel 3 agosto del 1944, quando la polizia nazista fece irruzione in quell'alloggio di Amsterdam in cui la famiglia di Anna Frank, insieme a un medico e a un'altra famiglia di ebrei trovarono rifugio quando anche in Olanda iniziarono le discriminazioni razziali. Eppure sfogliando quelle pagine del Diario si può imparare tanto da questa bambina-donna: "Viviamo tutti con l'obiettivo di essere felici - raccontava alla sua amica immaginaria - le nostre vite sono diverse, eppure uguali".

Le sue domande davanti all'assurda azione di sterminio messa in atto dai nazisti sono le stesse che ci poniamo oggi tutti noi, quando parliamo della Shoah: "Quando si odono queste cose, non vien fatto di chiedersi perché si combatte questa lunga difficile guerra? - chiedeva a Kitty il 22 maggio del 1944 - Non ci raccontano sempre che combattono tutti assieme per la libertà la verità e la giustizia? E se già durante la lotta si manifesta una discordia, deve necessariamente aver torto l'ebreo? Oh, è triste, è molto triste che per l'ennesima volta si confermi il vecchio principio: "Se un cristiano compie una cattiva azione la responsabilità è soltanto sua; se un ebreo compie una cattiva azione, la colpa ricade su tutti gli ebrei".

Con una lucidità disarmante ammetteva: "A noi giovani costa doppia fatica mantenere le nostre opinioni in un tempo in cui ogni idealismo è annientato e distrutto, in cui gli uomini si mostrano dal loro lato peggiore, in cui si dubita della verità, della giustizia e di Dio". E sottolineava: "C'è negli uomini un impulso alla distruzione, alla strage, all'assassinio, alla furia, e fino a quando tutta l'umanità, senza eccezioni, non avrà subíto una grande metamorfosi, la guerra imperverserà: tutto ciò che è stato ricostruito o coltivato sarà distrutto e rovinato di nuovo; e si dovrà ricominciare da capo.

C'era un infinito ottimismo nel cuore di questa giovane diventata suo malgrado una delle figure simbolo dell'Olocausto:"Quanto sarebbero buoni gli uomini, se ogni sera prima di addormentarsi rievocassero gli avvenimenti della giornata e riflettessero a ciò che v'è stato di buono e di cattivo nella loro condotta! Involontariamente cercheresti allora ogni giorno di correggerti, ed è probabile che dopo qualche tempo avresti ottenuto un risultato".

Un ottimismo misto però a una disperazione che non lascia fiato: "Vedo il mondo mutarsi lentamente in un deserto, odo sempre più forte l'avvicinarsi del rombo che ucciderà noi pure, partecipo al dolore di milioni di uomini, eppure, quando guardo il cielo, penso che tutto si volgerà nuovamente al bene, che anche questa spietata durezza cesserà".
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