Una manifestazione - non autorizzata - per chiedere la liberazione di prigionieri politici, fermati dalla polizia senza spiegazioni. Detenuti a tempo indeterminato e indeterminabile in virtù di una legge nuova di zecca, l'Internment Act. Due fronti contrapposti, certo non equilibrati (una folla di cittadini disarmati contro il Primo battaglione del Reggimento Paracadutisti di sua maestà la Regina), ciascuno deciso a difendere le proprie ragioni, in nome di due popoli l'un contro l'altro armati da ottocento anni. Tutt'intorno, un cordone di giornalisti e teleoperatori di ogni nazione, pronti a documentare l'ultima (apparente) guerra di religione nell'Europa del Ventesimo secolo: quella fra i cattolici nazionalisti dell'Ulster (che per gli irlandesi sono le Six Counties rimaste sotto il dominio di Londra) e i loro concittadini protestanti, fedeli al Regno Unito.

LA STRAGE - Poi, il parapiglia. L'esercito spara sulla folla. Fuggi fuggi generale, crepitare di armi da fuoco, vetri rotti ovunque, fumo, pneumatici che stridono, grida di donne, uomini, bambini: grida di dolore, di paura, di rabbia. Quando gli uomini del colonnello Derek Wilford si ritirano, per le strade del rione di Bogside si contano tredici morti e sedici feriti (uno si spegnerà in ospedale), tutti civili. È domenica 30 gennaio 1972. Da allora Londonderry, la città dalle due anime, rifondata dagli occupanti inglesi nel XVII secolo su un antichissimo insediamento gaelico (Derry, o Bosco di Querce), sarà ricordata per la Bloody Sunday, la Domenica di sangue. Tre mesi più tardi, una commissione d'inchiesta assolve l'esercito britannico: ha sparato, dice la sentenza, per difendere l'ordine pubblico contro facinorosi armati. Ci vorranno 26 anni perché una nuova indagine, esaminando finalmente le prove e le testimonianze di entrambe le parti, condanni la brutale aggressione dei militari ai manifestanti inermi.

COSì VICINI, COSì DIVISI - Ma un quarto di secolo è lungo da passare, specie se gronda sangue. Nel 1972, gli irlandesi dell'Ulster e quelli della Repubblica gridano la rabbia per il massacro dei manifestanti nonviolenti che reclamavano uguaglianza di diritti. I ragazzi di estrazione cattolica si arruolano in massa nell'Ira (Provisional Irish Republican Army) o nell'Irish National Liberation Army. Vogliono ricacciare gli inglesi oltre mare e annettere l'Ulster alla Repubblica. I loro avversari protestanti, i loro vicini di casa, compagni di scuola, colleghi di lavoro, gridano al tradimento. Non si sentono invasori, ma patrioti. Sono nati nell'Irlanda del Nord, come i loro genitori e i loro nonni e bisnonni. E vogliono restare legati a Londra, alla sua storia, ai privilegi di un'economia in crescita, ma anche alla libertà che il Regno Unito consente: nella cattolicissima e povera Repubblica, fiaccata da secoli di sfruttamento coloniale, dominata da un clero ultraconservatore, non c'è lavoro, sono vietati il divorzio e persino la contraccezione. Così i giovani protestanti si arruolano nell'Ulster Volunteer Force (UVF) e nell'Ulster Defence Association. L'esercito Britannico e la Royal Ulster Constabulary (la polizia nordirlandese) non sono certo equanimi verso la popolazione, mantengono legami oscuri con le organizzazioni paramilitari unioniste. A dicembre 1972 il conto dei morti raggiunge quota 472, perlopiù giovani, di entrambe le fazioni.

L'ULTIMA GUERRA DI RELIGIONE - L'Occidente guarda con sconcerto al riaccendersi di questo focolaio di guerra che gli inglesi chiamano, con caratteristico understatement "The Troubles": i disordini. Nelle città del Nordamerica e dell'Europa dilaga il post-68. I ragazzi sono in piazza a chiedere più libertà, più giustizia sociale, meno bombe. La loro simpatia va a Bernadette Devlin, la parlamentare cattolica dell'Ulster che, rompendo con la tradizione del nazionalismo nordirlandese ("nessun compromesso con lo Stato nemico") ha scelto la via della politica per affermare i diritti dei suoi concittadini. Eletta in Parlamento a 21 anni, la più giovane donna a entrare a Westminister, ne ha 25 quando è testimone della Bloody Sunday. Il giorno dopo, alla House of Commons di Londra, le viene impedito di raccontare quel che ha visto. Quando il ministro dell'Interno, il conservatore Reginald Maudling, dirà che l'esercito ha sparato in risposta a un attacco della folla, Devlin gli assesterà uno schiaffone. Gesto insolito per una donna che dedicherà tutta la sua vita politica a battaglie nonviolente.

GLI EX BEATLES - I miti dell'epoca scelgono da che parte stare. Paul e Linda McCartney scrivono "Give Ireland back to the Irish" (Restituite l'Irlanda agli irlandesi) e lo registrano negli Abbey Road Studios: la BBC si rifiuterà di mandare in onda il primo singolo dei Wings. John Lennon denuncia la violenza dell'esercito britannico in una manifestazione a New York. Il suo disco successivo "Some Time in New York City" contiene due brani dedicati alle vicende irlandesi: "Sunday Bloody Sunday" (dove gli inglesi sono definiti "pigs") e "The Luck of the Irish".

IL CONFLITTO SI INASPRISCE - Ma la simpatia degli artisti e dei giovani pacifisti non aiuta la causa della pacificazione. Il colonnello Derek Wilford che ha represso nel sangue la manifestazione di Londonderry viene decorato dalla regina Elisabetta. "Whitewash" (in italiano diremmo insabbiamento) è l'accusa durissima, supportata nel corso degli anni da inchieste giornalistiche, libri, film e canzoni. Gli scontri fra le varie fazioni di nazionalisti e unionisti si inaspriscono. Il 21 luglio 1972 passa alla storia come il Bloody Friday. Orrore targato Ira: in poco più di un'ora venti esplosioni (la gran parte causate da auto bomba) scuotono Belfast e lasciano sul campo nove vittime (cinque delle quali civili) e 130 feriti. "Abbiamo dato il preavviso perché gli obiettivi fossero sgombrati", dice l'Ira, accusando le autorità filobritanniche di non aver voluto evitare la strage.

TERRORE OLTRE CONFINE - La battaglia esce dai confini irlandesi, il terrore arriva nelle strade del Regno Unito. Il 4 febbraio 1974 undici persone sono uccise quando una bomba dell'Ira esplode su un autobus che percorre l'autostrada M62 nello Yorkshire: muoiono otto militari, ma anche la moglie e i due bambini di uno di loro. L'escalation di violenza si fa beffa delle trattative sotterranee, dei cessate-il-fuoco, delle tregue proclamate e subito rotte da tutte la parti in gioco. Alla fine degli anni Settanta i militanti dell'Ira, ormai equiparati a terroristi, sono privati dello status di prigionieri politici e sottoposti a carcere duro. Lo sciopero della fame promosso nel 1981 da dieci detenuti non commuove la premier Margaret Thatcher: moriranno tutti, a incominciare dall'uomo simbolo, Bobby Sands, eletto al Parlamento da carcerato: aveva 27 anni. La guerra coinvolge, a livelli diversi, organizzazioni paramilitari di entrambe le fazioni, l'esercito, i religiosi cattolici e protestanti (accusati ora di collusione ora di tradimento dalle opposte fazioni) la magistratura (con casi più o meno famosi di arresti ingiusti e sentenze forzate), il governo britannico, i media. Persino i rapporti internazionali: l'Ira si rifornisce di armi dagli Usa (attraverso gli immigrati, storicamente legati al Partito Democratico) come dalla Libia o dall'Eta. Gli analisti la chiamano "guerra irregolare" o "guerra a bassa intensità": ma le vittime sono migliaia, infiniti sembrano gli strascichi di dolore lasciati da ogni attacco.

LA SCOMMESSA DEGLI U2 - Testimoni e vittime di questa lotta senza quartiere sono i giovani protestanti e cattolici, che cominciano a sognare un destino senza spargimenti di sangue. È il 1982 quando gli U2, già leader indiscussi della scena post-punk propongono in concerto a Belfast, nell'Ulster, un pezzo che si chiama "Sunday Bloody Sunday". Narra la leggenda che il cantante e autore delle liriche Bono Vox introduca il brano così: "Ascoltatelo, se non vi piace non lo sentirete mai più". Il brano racconta l'orrore della Domenica di sangue consumatasi dieci anni prima, ma anche il rifiuto della vendetta: "Non ascolterò il vostro richiamo di battaglia, non fa che mettermi con le spalle al muro". E ancora: "La guerra è appena cominciata, molti sono perduti, ditemi chi ha vinto. La trincea è dentro i nostri cuori. Madri, figli, sorelle e fratelli sono lacerati e separati". Bono (il suo vero nome è Paul Hewson) ha 22 anni, è nato a Dublino, nella Repubblica d'Irlanda, da madre protestante, padre cattolico. Ha un carisma che incanta, un'energia che trascina. Il pubblico applaude e canta il lungo refrain: "How long, how long must we sing this song": per quanto ancora dobbiamo cantare questa canzone, una canzone di morte?

I TEMPI SONO CAMBIATI - La prova è riuscita. Pochi mesi dopo "Sunday Bloody Sunday" apre il terzo album del gruppo, "War", che venderà 9 milioni di copie. Non è facile, nella Repubblica d'Irlanda, essere non allineati. Ma gli U2 non mollano A dicembre del 1983, nel mini album dal vivo "Under a Blood Red Sky", c'è un'altra appassionata versione della canzone. E Bono lo dice chiaro: "Questa non è una rebel song". Non è la classica canzone di rivolta anti-inglese reinventata nei secoli da ogni musicista irlandese. "Questa è Sunday Bloody Sunday". Perché "stanotte - canta con il pubblico - we can be as one": possiamo provare a essere una sola cosa. Cinque anni dopo, nel documentario "Rattle and Hum", che racconta il trionfale tour degli U2 negli USA, denuncia con forza l'attentato dell'Ira a Enniskillen nel novembre 1997: undici morti, tutti protestanti. È tempo di dare una chance alla pace.

L'INCHIESTA BIS E LA PACE - A 26 anni dalla Domenica di Sangue, dopo innumerevoli proteste, canzoni, film e inchieste giornalistiche, l'allora premier laburista Tony Blair, convoca una nuova commissione d'inchiesta, di cui faranno parte giudici internazionali. Succede ancora una volta in gennaio, è il 1998, e sono orma in fase avanzata le trattative di pace che porteranno, il 10 aprile, all'accordo del Venerdì santo fra il Governo britannico e la Repubblica d'Irlanda e le varie fazioni nazionaliste e unioniste dell'Ulster. La pace che sembrava impossibile è diventata realtà dopo tre decenni anni di scontri e ben 3.600 morti. Due referendum, uno nella Repubblica e uno nell'Ulster, approveranno l'intesa, piuttosto complessa, che si basa su un compromesso: Dublino e i nazionalisti accettano che la maggioranza della popolazione in Ulster vuole rimanere nel Regno Unito, rinunciando all'unificazione dell'Irlanda, a meno che non decida altrimenti, in futuro, la maggioranza dei cittadini. Nell'Ulster, il governo sarà formato da esponenti cattolici e protestanti, in proporzione ai voti ricevuti. È così che nel 2007, il reverendo Ian Paisley, il più rigido dei protestanti, che aveva accusato Giovanni Paolo II di essere l'anticristo, forma una coalizione con il suo arcinemico di un tempo, Martin McGuinnes del Sinn Fein.

LE SCUSE DEL GOVERNO - Nel frattempo, la giustizia fa il suo corso. Ci vorrà un decennio, intessuto di omissioni, tentativi di sabotaggio, ritardi e polemiche perché la Bloody Sunday Inquiry, presieduta dal giudice Mark Savile (barone di Newdigate, come si addice ai magistrati del Regno Unito) concluda il suo lavoro e sia reso pubblico il verdetto. Una condanna piena e senza appello per la condotta "ingiusta e ingiustificabile" delle truppe inglesi. Il 15 giugno 2010 il primo ministro David Cameron chiede scusa a nome del Regno Unito. Sono passati 38 anni dalla Bloody Sunday.
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