Pollice. Indice. Pollice. Indice. Pollice. Indice.

Henriette Theodora Markovic, già Dora Maar in quella mattina di luglio, a Parigi, sedeva a un tavolino del caffè Les Deux-Magots a Saint-Germain-des-Prés. Sedeva in terrazza. Sedeva sola. La mano, aperta, poggiata sul legno caldo. Colpiva, con coltellino, lo spazio tra un dito e l'altro. Pollice. Indice. Pollice. Indice. Pollice. Indice. Veloce, sempre più veloce. Forse annoiata. Forse distratta. Ma senza fermarsi, neanche quando si feriva; e allora il sangue rosso chiazzava i suoi guanti bianchi. Paul Éluard e Pablo Picasso le si avvicinarono. Il poeta la presentò al pittore. «Mi dia i suoi guanti», le ordinò. Lei se li tolse. La cosa peggiore che capitò a Henriette Theodora Markovic, già Dora Maar in quella mattina di luglio, a Parigi, fu innamorarsi di Pablo Picasso.

CHIUDI GLI OCCHI, APRI GLI OCCHI - In realtà era una di quelle donne che non avevano bisogno di accompagnare il proprio cognome con quello di un uomo. Il padre, Josip Markovic, era un architetto famosissimo in Sud America. Autore del padiglione della Bosnia Erzegovina all'Esposizione universale di Parigi del Novecento, a Buenos Aires costruiva palazzi, piazze, chiese. La madre, Julie Voisin, cattolica di ampie vedute, lo seguiva con passione. Henriette Theodora Markovic, così, imparò il francese e lo spagnolo. Leggeva, studiava, scriveva, dipingeva: e viaggiava, viaggiava tanto, libera, già da bambina, di scegliere. A quindici anni, e siamo negli anni Venti, si iscrive all'École et Ateliers d'Arts Décoratifs a Parigi. «Voglio fare la pittrice», raccontava nei salotti in cui sedevano il padre e la madre. La scelta cade su l'Académie Lhote prima, l'École de Photographie de la Ville de Paris poi. Sono Henri Cartier- Bresson, Pierre Kéfer, Man Ray che le fanno scoprire la fotografia. Ma è una fotografia di strada, vera, dura, immorale. Nel Ventinove crolla la Borsa a New York. Le città si riempiono di mendicanti, vagabondi, disperati. Case di lamiera. Scatole di cartone. Una madre che cammina, da sola, con i figlioletti stretti al petto, diventa l'istantanea di un orrore quotidiano che Henriette Theodora Markovic sa trasformare in poesia e in eternità. È in quel periodo che cambia nome e si taglia i capelli. Fotografa gli occhi degli uomini e delle donne. Occhi aperti, occhi chiusi. Assonnati, arrossati, tormentati, in lacrime. Si schiera dalla parte dei diseredati, ma «questa sua presa di posizione», dirà la critica, «era accompagnata da un'istintiva inclinazione per il misterioso, il magico, il soprannaturale", una sintonia che la avvicina al gruppo surrealista. Il mondo dei sogni, l'arte infantile, il primitivo, l'erotismo l'inquietante stranezza del quotidiano: questo è l'universo di Dora Maar. Lo sguardo è un tema frequente, elemento surrealista ricorrente: «Chiudere gli occhi al mondo che ci circonda ci permette di aprirli all'inconscio». Non dimentichiamoci che quelli sono gli anni in cui Sigmund Freud, a Londra, in esilio, conosce Salvator Dalì. Il padre della psicoanalisi e il re dell'avanguardia artistica del surrealismo. Dora Maar è accolta, ovunque, con passione. È coraggiosa, combatte, la politica la affascina. Firma il manifesto "Appel à la lutte", entra nel gruppo Contre-Attaque, è al fianco dei surrealisti contro il capitalismo, il parlamentarismo borghese, l'ortodossia del partito comunista. Scrive sui giornali, espone nei musei. Però non dimentica il suo essere femmina; è bellissima, lo sa; adora i cappelli, veste secondo il gusto di Parigi, indossa, sempre, i guanti.

POI, "GUERNICA" - Ecco perché la cosa peggiore che capitò a Henriette Theodora Markovic, già Dora Maar in quella mattina di luglio, a Parigi, fu innamorarsi di Pablo Picasso. Lui era troppo più forte, arrogante, violento. Lei smise, per volere di lui, di fotografare. Era la musa: era la vittima. Rinchiusa in casa, lo aspettava, divorata dalla gelosia. Marie-Thérèse Walter era ancora nella vita di Pablo Picasso, gli aveva dato una figlia, lui non se ne separava. Dora Maar urlava e piangeva. Lui la metteva la tacera dipingendola. "Guernica" ha il suo volto, il volto di Dora Maar, in quella figura, al centro, che sorregge la lampada.

«IL MIO PADRONE» - Il loro amore durò nove anni. Sino a quando Pablo Picasso incontrò Françoise Gilot, lei era giovanissima, una ragazzina, la ritrasse nel quadro "Joie de vivre". Lasciò Dora Maar sola, sterile, isterica. Françoise Gilot partorì Paloma e Claude. A Dora Maar, rinchiusa in una clinica psichiatrica, sotto elettroshock, in una Parigi occupata dai nazisti, rimasero alcune nature morte dipinte da Pablo Picasso e una casa in Provenza, a Ménerbes, che lui le regalò. Morì nel 1997. Disse: «Io non sono stata l'amante di Picasso. Lui era il mio padrone».

DRAMMA ALLA TATE - Ecco perché quel pazzo che, l'altro giorno, a Londra, alla Tate Modern Gallery, si è scagliato contro un quadro di Pablo Picasso, squarciandolo, non ha solo distrutto un'opera da ventitré milioni di euro. Quel quadro è il "Busto di Donna". Quella donna è Dora Maar.
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