Un domani molto lontano, nel caso la razza umana riuscisse a progredire, non compromettere definitivamente il pianeta che le fa da culla e sopravvivere, forse i viaggiatori spaziali - inevitabile futura categoria di esploratori - guarderanno alle sonde Voyager 1 e 2 come i moderni piloti di jet civili fanno con Charles Lindbergh, autore della prima traversata aerea in solitario e senza scalo dell'Oceano Atlantico (da New York a Parigi, 1927), o come a inizio Cinquecento si guardava a Cristoforo Colombo, i cui viaggi nell'ignoto avevano consentito di scoprire il Nuovo mondo. Cercava le Indie, trovò le Americhe.

Fra cento o anche duecento anni le navette spaziali saranno una realtà consolidata, decolli e atterraggi in scali appositi o nelle basi che fluttuano nel nulla oltre l'atmosfera terrestre e sulla Luna saranno la normalità. Magari semplici tappe prima di lanciarsi verso mete ben più lontane: al di là della cintura degli asteroidi e Giove, dopo Urano, Nettuno e Plutone, in quell'enorme vastità nella quale la forza del sole scompare e comincia lo spazio interstellare. Non più fantascienza oggetto di film capolavoro come 2001-Odissea nel spazio o di pellicole quali Star Wars e Star Trek, ma realtà. Enormi navi cargo capaci di coprire in tempi ragionevoli distanze siderali oggi difficili anche da immaginare: basta sapere che con la tecnologia attuale si calcola servano sei mesi perché un mezzo a guida umana possa raggiungere Marte, a circa 225 milioni di chilometri dalla Terra; per Nettuno, lontana 4,5 miliardi di chilometri, servirebbero 8 anni. La stella più vicina si chiama Proxima Centauri e la distanza non si calcola più in chilometri (il numero sarebbe troppo lungo) e neanche in unità astronomiche (una Ua corrisponde al percorso Sole-Terra: 150 milioni di chilometri), ma in anni luce: nel tragitto cioè che in un anno riesce a coprire la luce (la cui velocità è di circa 300 mila chilometri al secondo). A quella "andatura" Nettuno sarebbe alle viste in 4 ore e mezzo, Marte in neanche 20 secondi. Ma nessuno può raggiungere quel risultato, tanto meno superarlo (è un limite della Fisica). Figurarsi arrivare alla nube di Oort, una fascia gigantesca (residuo forse della nebulosa che diede origine al sistema solare) che si trova a 100 mila Unità astronomiche e nella quale vagano le comete, per poi abbandonare del tutto il sistema solare e vagare verso mete oscure, dove fluttuano miliari di galassie e miliardi di miliardi di stelle con ancor più pianeti che girano loro attorno.

La Voyager ai confini dell’eliosfera
La Voyager ai confini dell’eliosfera
La Voyager ai confini dell’eliosfera

Forse tra quei cento o 200 anni l'Uomo avrà trovato un modo per aggirare questo muro. E allora, guardando al passato, ricorderà i due pionieri che, dopo oltre 40 anni di viaggio, per primi hanno superato quelle moderne colonne d'Ercole. Due sonde che si pensava sarebbero "morte" molto prima e che invece hanno continuato a mandare segnali, foto e notizie grazie a un dispositivo al plutonio inventato nel 1965, un isotopo radioattivo prodotto nei reattori nucleari il cui lungo decadimento rilascia energia e calore. Potrebbero restare in vita ancora una decina di anni e sono state lanciate nel 1977 a distanza di alcune settimane l'una dall'altra con traiettorie diverse per fare un grand tour dei pianeti esterni. A oggi sono le uniche macchine costruite dagli esseri umani ad aver raggiunto una distanza simile.

Voyager 1 ha esplorato Giove e Saturno e il suo satellite Titano (il più simile alla Terra, però lì piove metano), poi ha proseguito verso la parte esterna al sistema solare. Nell'agosto 2012 ha superato l'eliopausa (il confine nel quale il vento solare viene fermato dal mezzo interstellare, cioè il gas e la polvere che si trovano nelle galassie). Voyager 2 ha sfiorato Giove e Saturno ed è passato accanto a Urano (1986) e Nettuno (1989), superando l'eliopausa nel novembre 2018. La certezza è arrivata grazie a uno strumento che si trova sulle due navicelle, capace di accorgersi del passaggio da un ambiente con un plasma "caldo e a bassa densità", tipico dell'eliosfera, a uno con plasma composto da "gas più freddi e densi", caratteristico dello spazio interstellare. Una "linea di confine" che si trova tra i 18 e i 22 miliardi di chilometri dal Sole.

Quando anche Voyager 2 esaurirà la propria capacità di trasmissione (la Voyager 1 non è uscita indenne al passaggio ed è rimasta danneggiata dall'impatto con le particelle elettricamente cariche sparate dal Sole a una velocità di 500 chilometri al secondo) proseguirà il viaggio nel silenzio. Al momento ogni tanto la sonda viene fatta ruotare verso il nostro pianeta per far giungere sin qui la sua voce, captata da un disco di 70 metri di diametro dopo 16 ore di viaggio. Quando il plutonio sarà esaurito, l'uomo non riceverà più informazioni su ciò che incontrerà nel suo cammino questo straordinario esploratore, la cui traversata dell'ignoto potrebbe superare la vita della stessa Terra. Non sapremo mai ciò che vedrà oltre il sistema solare. Stelle doppie, pianeti rocciosi come la Terra o gassosi come Giove, abitabili o invivibili, con atmosfera e acqua o brulli e inospitali come Venere e Mercurio. Con forme di vita simili alla nostra, basata sul carbonio, o completamente diverse e magari sviluppatesi grazie al silicio. Fornite di tecnologia tanto avanzata da consentire i viaggi interstellari o ancora allo stato primordiale, primitivo. Un mistero forse insolubile per la durata della vita umana: l'Universo avrebbe avuto origine dal Big bang (la grande esplosione) circa 15 miliardi di anni fa; la Terra è nata 5 miliardi di anni fa e ha davanti a sé (forse) un periodo altrettanto lungo da trascorrere vagando attorno al Sole e al centro della Via lattea; l'Uomo esiste da circa 2,5 milioni di anni, mentre l'Homo sapiens ha fatto la sua comparsa 200 mila anni fa. Nulla, a confronto della vita dell'Universo.

Dall'attuale distanza la Terra è un puntino che si perde tra miliardi di altri puntini blu, e prima o poi le Voyager vedranno una stella più luminosa del Sole: si chiama Sirio. Ma quel momento è molto lontano, perché per arrivare sin lì serviranno oltre 8 anni luce. Cioè 356 mila anni. Qualche civiltà molto più avanzata della nostra allora potrebbe incrociare le sonde e leggere quel che è contenuto nei loro dischi d'oro: un messaggio per popoli extraterrestri, incisioni di suoni e immagini rappresentativi della Terra e dell'umanità e le coordinate per venirci a trovare. Fantascienza? Forse. O forse no.
© Riproduzione riservata