Si può sopravvivere a un dolore lacerante e intimo come la perdita di un figlio o un fratello? La risposta è sì se si riesce a tirare fuori la tempesta che si abbatte sull'anima, raccontando sentimenti, emozioni e sensazioni, magari con i versi.

La poesia a scopo terapeutico è sempre più diffusa. Uno degli esempi è "Di traverso", rime che attraversano la vita di tante donne, come quella dell'autrice, psicoterapeuta cagliaritana. I suoi versi si leggono velocemente, come filastrocche.

È la sua prima raccolta di poesie ma non è detto che sarà l'ultima. Perché Letizia Bruni ci sguazza nei versi fin da piccola: "Bevo poesia avidamente dal pomeriggio in cui mi sveglio stanca e fino all'alba, a lume di candela, consumandomi gli occhi". Con le rime riesce a trasformarsi nelle tante "letizie" che da 50 anni vivono in lei: lavoratrice instancabile? casalinga infelice? madre piena di sensi di colpa? Come psicoterapeuta è abituata a mettersi di traverso, sì proprio così, come il titolo del suo libro di poesie ("Di traverso", Miraggi edizioni) nel quale svela tutte le sue sfaccettature: psicoterapeuta per professione, poetessa per vocazione, depressa da sempre, coltiva l'arte del pessimismo con passione, tenacia e ironia, saltando con fatica e impegno gli ostacoli della vita e cercando di evitare gli inciampi inevitabili. Schiva di lodi e onori, sono gli altri che l'hanno scoperta come, per caso, su facebook l'editore Alessandro De Vito, che pubblica le sue poesie. Chi conosce il suo talento le rimprovera due difetti: «Sono lenta e pigra», annuisce.

CHI È. - Non rincorre il successo, al limite è il contrario, e «le poesie che scrive sono tanto vere... che sarete anche voi, a vostra volta, poeti», si legge nella prefazione di Giovanni Giaccone che parla di «Letizia, una Calipso dei giorni nostri». Fuori dall'ordinario: "Quando fece l'amore lo fece di di traverso e scrisse di traverso...e se un bacio le davi la lingua di traverso metteva per far subito capire come sarebbe stato vivere accanto a lei vivere nel suo universo: per certo di traverso". Ecco, chi si accinge a sfogliare il suo libro, sappia che nulla sarà scontato in questi versi, che parlano di amore, materno e quello sensuale, del dolore, del desiderio, ma anche di un "Gatto gattone" ("quando le donne si arrendono prendono un gatto") e di "Tre allegre signore" e la terza "a dirvela tutta è la mia preferita: non sorride, non fuma, non beve, qualche volta si droga ma è molto felice di stare da sola e ama la vita". Come quei sabato sera "in piacevole compagnia: io, le mie taccododici e la nostalgia". È così la poetessa, pur sempre felice "per la quarta di reggiseno che solo un buon antipsicotico può donare".

IL DESTINO - Letizia Bruni le scrive per sé ma il loro potere terapeutico è così forte da riuscire a curare anche i mali delle sue pazienti. Le sue poesie sono un utile strumento di lavoro per scavare nella mente sua e delle altre, alla ricerca di una felicità difficile da trovare. A lei i versi sono serviti per curare i grandi dolori della vita. Il colpo di grazia nel '94, con la morte del fratello maggiore. "A ventisei anni si dovrebbe morire per una corsa in moto, per un'overdose, in viaggio, non in ospedale", si legge in una delle sue poesie, "2 luglio", dedicata a Paolo, che se n'è andato nel giro di tre giorni - racconta - per un'epatite fulminante provocata da un farmaco che gli era stato prescritto per un'infiammazione al nervo sciatico. Una storia che meriterebbe di essere raccontata in un libro a parte, chissà forse un giorno. Perché di Paolo, il fratello più grande dei sei che componevano la famiglia Bruni (Letizia è la terza), si può dire che lavorava, studiava economia e che si era «innamorato follemente» di una ragazza bionda, «piccola e graziosa con una forza interiore che sarebbe bastata a fare dieci donne di altissimo livello». Avevano parlato con il prete qualche giorno prima perché volevano sposarsi e il lunedì avrebbero preso possesso della casa. Ma non ci entrarono mai, perché Paolo il sabato entrò in pronto soccorso, poi nel reparto infettivi del S.S. Trinità, poi in rianimazione al San Giovanni e infine su un aereo militare che lo trasportò d'urgenza a Torino per l'estremo tentativo: un trapianto di fegato. «Paolo Arrivò alle Molinette che era già clinicamente morto». Niente trapianto, niente matrimonio, niente laurea, niente casa. «Credo che quello sia stato il punto di non ritorno», racconta quando fa il punto sulla sua vita. «È stato così che il destino ha voluto. L'unico della famiglia che sarebbe stato ben felice di avere una vita "normale" morì a 26 anni. Gli altri tentarono di sopravvivere senza più nessun ancoraggio alla normalità, neanche quello economico ammesso e non concesso - precisa - che la normalità possa essere una scelta come tristemente ci ha insegnato Thomas Mann nel suo romanzo più famoso». I versi, nel caso di Letizia Bruni, servono anche a mettere ordine nella vita di famiglia, messa su da genitori «nati per l'arte», madre insegnante che insegue il sogno di diventare come il suo professor Ricci (l'autore del famoso Salinari Ricci) dal quale eredita la passione per la letteratura e Dante, padre ingegnere che va a lavorare ad Abu Dhabi («i più begli anni della nostra infanzia», dice ora la figlia) ma è appassionato di musica, poesia e fotografia. Insomma, una famiglia «la cui aspirazione alla normalità è sempre stata tanto grande quanto miseramente fallita», è il biglietto da visita della saga Bruni. Ma dove la normalità fallisce, i geni crescono a quanto pare.

FIGLI D'ARTE - Finì che il padre Augusto se ne andò per una malattia troppo presto, come la nonna, pilastro della famiglia. Finì che i figli superstiti - dice proprio così Letizia - incoraggiati da una mamma tuttofare (morto il marito si laureò per conquistare una cattedra alle superiori e portare uno stipendio in casa) si diedero all'arte, «per incapacità di adattarsi alla norma e per non morire di dolore». Laura (1968) bravissima ginnasta e danzatrice si laureò allo Ied e si diede all'illustrazione e alla grafica pubblicitaria. Ora lavora nella sua casa-laboratorio, oltre a occuparsi di una colonia felina in via San Benedetto. Silvia si sposò a 19 anni e a 21 si separò per andare a lavorare come giornalista a Italia Uno e in seguito come free lance documentarista a Mtv: ora studia teologia, gestisce un b&b ad Assisi ed è una fenomenale acquerellista e ritrattista. Infine i gemelli Sandro e Annamaria. Il primo si laureò in Economia e commercio ed è un tecnico del suono: ora abita nelle Filippine ed è appena diventato papà. Annamaria andò via presto, prima a Londra e poi in Egitto: fece la scuola per fumettista, ora è una fotografa professionista, in giro nei paesi più pericolosi del Medio Oriente per realizzare reportage nelle zone di guerra: di recente ha vinto il primo premio al centesimo anniversario del Nikon Photocontest. Ci sono tutti e sei nelle sue poesie. Da Paolo a lei, Letizia: «Anch'io ho fatto il grave errore di provare a guarire, non sono mai guarita». Ma mai si è arresa: laureata in Psicologia col massimo dei voti, specializzata in Psicoterapia (con il massimo dei voti), ha lavorato a scuola e nei centri di riabilitazione. E ora, soprattutto, nel suo studio privato. Pigra e lenta? Dal 2017 «sono ufficialmente una poetessa», dice di lei. È andata un po' in letargo con le rime in questi ultimi mesi, ma solo per pensare a "cosa fare ora" che il primo libro di poesie è uscito? Ne ha scritto un altro, che ha già un titolo ("Era una donna molto fedele") e sta per andare alle stampe. Intanto è diventata anche fotografa professionista e insegna teoria dei simboli al Fine Art. E la poesia? Tutti aspettano il bis.
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