Giovani e intraprendenti, legati alle tradizioni del passato ma con lo sguardo fisso verso il domani. Sono i giovani vignaioli della Sardegna, esponenti di una nuova filosofia naturale che vuole riportare il vino sardo a quando tutto era più semplice, ai tempi in cui farlo era più un lavoro da appassionati artigiani che da veri industriali. Un'ideologia minimalista, da applicare sia in vigna che in cantina, che anno dopo anno sta esplodendo sull'onda di un movimento mondiale, e che anche in ogni angolo dell'Isola può vantare esponenti di spicco che hanno deciso di dire no alla chimica sregolata per concentrare in un bicchiere i sapori genuini, a volte un po' troppo ruvidi per i palati non abituati, del vino di una volta.

Molti di questi sono figli d'arte, che hanno voluto quindi prendere in mano le redini dell'azienda di famiglia per portare avanti i saperi dei padri e dei nonni, aggiungendo però qualcosa di nuovo. È Il caso di Lorenzo e Roberto Pusole, quarta generazione di vignaioli che nelle campagne ogliastrine tra Santa Maria Navarrese e Lotzorai hanno voluto portare avanti un credo enologico più in sintonia con il territorio che li circonda. Circa venti ettari di appezzamento e venticinquemila bottiglie prodotte (un'inezia rispetto alle milioni imbottigliate dalle più prolifiche cantine isolane) fanno della Pusole un piccolo laboratorio enologico in continua evoluzione: tra le varietà coltivate etichette come l'Ogliastra Igt (bianco e rosato), o il Cannonau Doc (rosso). Ma non mancano gli esperimenti ben riusciti come il Karamare, vino dall'intenso colore giallo-arancio, ricavato da un'antica quanto rara varietà di uve cannonau bianche.

Dall'altra parte della Sardegna altre piccole aziende crescono in fretta. Basta puntare i riflettori sulla Cantina Carta di Bosa, realtà nata pochi anni e sempre più apprezzata per la sua Filet, fatta da uve malvasia al 100% vinificate con il tradizionale metodo ossidativo. A guidarla Piero Carta, giovane imprenditore che ha deciso di far fare un salto di qualità agli appezzamenti guidati per decenni dal padre, puntando su un prodotto di nicchia, tanto unico quanto intrigante nato dalla terra di un territorio che da sempre fa proprio della malvasia un simbolo identitario. Carta però ha voluto metterci del suo, seguendo le rigide regole della vinificazione naturale che dicono no a lieviti selezionati e chimica in cantina. La produzione si limita a qualche centinaio di bottiglie e visto che non può contare sull'aiuto di diserbanti o antiparassitari, deve sottostare alle leggi della natura affrontando annate siccitose o caratterizzate da gravi malattie che inevitabilmente penalizzando la vendemmia. Tutto messo in conto "meglio produrre poco ma bene" ripete convinto Carta. Un credo che fino a ora ha dato i suoi frutti come confermano i tanti riconoscimenti ottenuti in tutta Italia. Nel cuore della Barbagia c'è una storia simile da raccontare. A Mamoiada Simone Sedilesu, trenta anni ancora da compiere, l'ultimo nato di una stirpe rinomata di imprenditori del vino, anni fa ha voluto fare tutto da sé fondando la sua cantina: la "Vike Vike". Tipica esclamazione di stupore in dialetto locale che in italiano può essere tradotta grossomodo come "guarda guarda". "La mia filosofia produttiva è incentrata sul territorio, nel rispetto ambientale e delle tradizioni - dice il giovane - il vino lo faccio in vigna, in cantina solo uva, un po' di solfiti e molta attenzione così da mantenere intatto il carattere proprio del vino di Mamoiada che lascio libero di esprimersi per stupirmi ad ogni assaggio".

I protagonisti di questa "nouvelle vague" enologica tutta sarda sono decine, impossibile citarli tutti. Ma forse tra i tanti nomi uno non può essere tralasciato: quello di Alessandro Dettori, "artigiano dell'uva" di Sennori e tra i primi (la sua azienda è del 1996) a non voler accettare compromessi, fuori e dentro la vigna. "Io non seguo il mercato - dice senza esitazioni - produco vini che piacciono a me, vini del mio territorio, vini di Sennori. Sono ciò` che sono e non ciò` che vuoi che siano". Un manifesto ideologico personale, che può tuttavia abbracciare il lavoro di tutti i suoi colleghi. Alfieri di una nuova generazioni di imprenditori che hanno attinto dal passato per imbottigliare forse il vino del futuro.
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