Per raccontare la recente storia d'Italia senza scadere nella retorica o, peggio, far sbadigliare il lettore ci vuole competenza, passione, molto brio e un pizzico di ironia. Tutte qualità che non mancano a Umberto Broccoli che con "Questa è la storia" (Bompiani, 2019, pp. 848, anche e-book) ripercorre la nostra vicenda nazionale dal 1938 al 1988 scegliendo come colonna sonora le canzoni più popolari, più cantate o più significative di ogni decennio.

Si parte con i brani trasmessi alla radio mentre l'Italia si appresta a gettarsi con sconsideratezza nella tragedia della Seconda guerra mondiale per arrivare alle canzoni capaci di imporsi negli abbaglianti ed evanescenti anni Ottanta. In mezzo, la ricostruzione del Dopoguerra, il boom economico, il Sessantotto e gli anni di piombo, periodi descritti nei loro snodi principali attraverso musica e parole che sono diventate parte integrante e chiave di lettura sorprendente del nostro paesaggio sociale e culturale. Un libro denso e importante, quindi, capace di mostraci come quelle che spesso vengono liquidate come "canzonette" sappiano dirci cose significative anche a distanza di tempo. E sappiano raccontaci la storia meglio di tanti saggi come ci dice proprio Umberto Broccoli:

"Confermo. Quello che ho provato a scrivere è un vero e proprio libro di storia, dove le vicende italiane sono raccontate attraverso le canzoni".

Il libro parte nel 1938 e si chiude nel 1988. Come mai queste date?

"Partiamo dalla fine, dal 1988. È l'anno che chiude una parte del Novecento dato che l'anno dopo crollerà il Muro di Berlino e finirà la Guerra fredda. Non potevo poi spingermi più avanti perché la storia va raccontata ad almeno trent'anni di distanza dagli eventi, altrimenti è cronaca. Il 1938 da cui parto è un anno fatidico perché entrano in vigore le leggi razziali, è l'ultimo anno di pace e l'Italia vive i suoi ultimi momenti di nazione illusa e pericolosamente disposta a ballare sull'orlo dell'abisso".

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

Il suo racconto è scandito da date che terminano con il numero otto…1938, 1948…come mai?

"Perché quelli che terminano con l'otto sono sempre stati anni fondamentali. Abbiamo appena detto del 1938 e del 1988. Il 1948 è l'anno della Costituzione italiana, il 1958 è l'anno simbolo del boom economico italiano, di "Volare" di Domenico Modugno. Il 1968 non ha bisogno di presentazioni e il 1978 lo definisco nel libro un anno che racchiude un secolo…l'elezione di due pontefici, Pertini presidente della Repubblica, l'omicidio di Aldo Moro".

Perché accompagnare la storia con la musica?

"Ascoltando le canzoni di quegli anni si comprende come autori e cantautori sapessero cogliere lo spirito del tempo e come il momento storico influenzasse autori e cantautori. Mi viene in mente un brano di Franco Battiato scritto nel 1988. Si intitola 'E ti vengo a cercare' e un verso del testo dice 'Questo secolo oramai alla fine, saturo di parassiti senza dignità'. Con poche parole questa canzone esprimeva tutta l'evanescenza degli anni Ottanta".

Cancora questa capacità di chi fa musica di cogliere lo spirito del tempo?

"Si è persa. L'arte è sempre specchio del suo tempo e questi sono tempi tristi. Ce ne rendiamo conto ascoltando le canzoni odierne".

Come sono?

"Sono figlie dei tempi in cui viviamo. Cosa va di moda oggi? Il trap, il rap cioè confusione, spezzettamento, superficialità. Sono canzoni che non hanno un senso compiuto e quindi probabilmente viviamo in un tempo con poco senso compiuto".

Si è perso anche il gusto per la melodia o è solo un'impressione?

"Si è persa completamente la melodia. Le canzoni non si cantano più. Prima tutti canticchiavano, il giorno dopo il Festival di Sanremo tutti sapevano i brani più belli. Si è persa la melodia e la consapevolezza che le canzoni sono nate per essere cantate. Ce lo ha insegnato per lungo tempo l'opera lirica con le sue arie da cantare e ricantare. Siamo la terra di Verdi e di Puccini ma non lo ricordiamo".

Ma non si rischia di cadere in un eccesso di nostalgia per il bel tempo che fu?

"Ma no, non sono né un nostalgico, né un conservatore. Sono un osservatore e osservo che se voglio cantare qualcosa di bello devo guardare al passato. Non a caso i millennials ascoltano Battisti senza sapere nulla dell'autore e di come nascevano le sue canzoni. Ecco, il mio libro può anche essere l'occasione per scoprire come venivano alla luce brani come 'Pensieri e parole' e quanto è stata innovativo Lucio Battisti nel panorama della musica italiana".

Ma una canzone odierna che racconti i nostri tempi le viene in mente?

"Confesso di no…mi viene in mente un verso di Battiato che dice 'la primavera tarda ad arrivare…' contenuta nel brano Povera patria del 1991".

E una canzone del passato buona per il presente?

"Ritorno a 'E ti vengo a cercare', importante sotto tanti punti di vista non ultimo perché parla di misticismo, altra cosa importante che abbiamo perduto e abbiamo sostituito con divinità che francamente non mi appartengono".

Si è perso anche il senso del sacro?

"Sicuramente ci siamo perduti la musica sacra. Ed è paradossale perché negli anni della contestazione, quando si attaccavano le istituzioni, soprattutto la Chiesa, Fabrizio De André scriveva 'La canzone dell'amore perduto' ispirandosi a una composizione di uno dei maggiori autori di musica sacra del Settecento, il tedesco Georg Philipp Telemann".
© Riproduzione riservata