Storie agghiaccianti e reali. Nessuna fiction. C'è il male che prima striscia e sibila, poi attacca, ferisce e uccide. C'è la burocrazia, e c'è il calvario delle vittime. Ilaria Bonuccelli, giornalista de Il Tirreno, da tempo impegnata sul fronte della violenza di genere, ha dato alle stampe "Per ammazzarti meglio", edito da Il pozzo di Micene: alla vigilia del 25 novembre, quando in tutto il mondo si celebrerà la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, arriva un libro per raccontare le donne che dopo le botte devono fare i conti con la paura che la denuncia non puo cancellare, anzi, paradossalmente, spesso contribuisce a far crescere. Sì, perchè non c'è tutela, non ce n'è abbastanza. Bonuccelli non vuole semplicemente aggiornare la statistiche sul numero di donne giovani e non, sposate e non, lavoratrici e non, madri e non, che portano ferite difficili da guarire. No: il suo lavoro è quacosa di più. Molto di più. L'autrice mette il lettore davanti a una realtà quasi sconosciuta fatta di giudici capaci di decisioni assurde, come i divieti di avvicinamento alla ex di tre metri e di lancio di oggetti; o la revoca del braccialetto elettronico allo stalker perché il beep disturba la vittima che invece si sente in qualche modo tutelata; o il divieto di avvicinamento alla ex casa familiare tutti i giorni a tutte le ore salvo il lunedì dalle 9 alle 12.

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

Ilaria Bonuccelli prende le carte delle inchieste penali, le studia, le analizza le scompone e con ironia feroce, tipica dei toscani, le ricompone in dodici storie che sono un calcio allo stomaco. Fanno male perché sono vere, perché costringono il lettore a immedesimarsi, perchè restituiscono un'intollerabile sensazione di impotenza che sfocia in rabbia.

Non individua le vittime l'autrice, non è necessario ed è l'unico modo per proteggerle ma la loro storia va pubblicata, diffusa, raccontata. «La vicenda di Linda è stato il mio meccanismo di reazione», scrive Bonuccelli nel prologo. «C'è stato un prima e un dopo. Prima di Linda e dopo Linda. Da quel momento ci sono stati tanti dopo, tanti incontri che mi hanno fatto cambiare idea sulle donne vittime di violenza, sulla loro capacità di sopportazione, sulla capacità o incapacità di reazione, sui dubbi, le paure le retromarce, l'amore o quello che è che continuano a provare per chi le maltratta. Non ho idee immobili su questo argomento. Impossibile averle. Perchè ciascuna vittima è un continente affollato di circostanze, incontri, presente, passato, occasioni, bivi. Persone diverse di fronte allo stesso maltrattante, allo stesso cazzotto, allo stesso insulto avrebbero (avuto) reazioni differenti. E diverse anche in momenti diversi della propria vita. Eppure alcune certezze le ho acquisite. E da quelle non mi schiodo. La violenza non è mai colpa della vittima».

Parte da un assunto che sembrerebbe banale la giornalista-scrittrice invece non lo è perchè ancora troppe volte davanti a una storia di violenze brutali su una donna si va a cercare quale comportamento possa averla provocata. Brividi. «Gli atti di violenza non sono mai improvvisi: il raptus è un'invenzione che va bene per gli avvocati difensori, per le fiction e i romanzi. Non c'entra nulla con la realtà». I responsabili sono altri, incluse tutte le persone che non hanno difeso quelle donne, che non hanno letto i segnali per tempo, che addirittura hanno voltato la faccia o si sono tappate le orecchie. «Parlo dei medici che non osservano ferite e lividi per quello che sono. Parlo giornalisti che continuano ad accettare la gelosia come movente della violenza e non domandano a chi indaga quante volte un femminicida avesse già minacciato la compagna o se fosse stato già denunciato per maltrattamenti o perchè la vittima non fosse protetta. Parlo dei magistrati che non arrestano gli stalker o firmano sentenze-vergogna ». Con il risultato che lo stalker è libero di girare come meglio crede mentre la vittima è reclusa in casa. Ilaria Bonuccelli non dimentica lo Stato con i risarcimenti alle vittime di stupro che sanno di insulto prima ancora che di farsa: l'autrice elenca minuziosamente tutte le norme e cita uno per uno i richiami dell'Europa che restano lettera morta e aggiungono umiliazione all'offesa.

In appendice la giornalista scrive a quattro mani con la giurista Valentina Bonini, docente di Diritto penale all'Università di Pisa, una sorta di guida all'ultimo lavoro del Parlamento sul tema: la legge chiamata "Codice rosso" che dovrebbe proteggere meglio le vittime di violenza. «I primi mesi di sperimentazione stanno dimostrando che i processi per reati di violenza di genere non sono più veloci, i tribunali sono più intasati, le vittime non sono più sicure». Ecco perché questo volume è indispensabile. «Gli assassini uccidono, i malvagi aggrediscono», sostiene il giornalista Fabrizio Roncoli nella prefazione. «E poi esistono responsabilità diffuse, responsabilità nostre. Contro le donne prendiamo parte in molti a una congiura, talvolta inconsapevole ma non per questo meno grave. E' quella trama fitta che intreccia episodi e abitudini nel tessuto culturale del nostro sessismo».
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