Il 2019 sarà ricordato come l’anno delle celebrazioni delle rock e popstar britanniche. Ha aperto le danze, infatti, Bohemian Rhapsody, film dedicato alla vita di Freddie Mercury dei Queen e capace di sbancare il botteghino, oltre ad aggiudicarsi quattro statuette all’ultima notte degli Oscar. Poi è toccato a un’altra icona della musica leggera ritrovarsi al centro di una pellicola di successo. Parliamo di Elton John e del film a lui ispirato, Rocketman, vero e proprio musical a metà tra l’onirico e il fantasy, strutturato attorno ai maggiori successi del cantante e compositore britannico.

Nel film in questione la celebre popstar è però raccontata prendendosi molte, forse troppe libertà narrative. Per chi invece è interessato a scoprire come un ragazzino della periferia londinese di nome Reginald Dwight sia diventato un artista capace di vendere 400 milioni di dischi e di incidere profondamente sulla musica e anche sul costume dell’ultimo cinquantennio, allora meglio rivolgersi all’autobiografia del cantante, appena giunta nelle librerie italiane.

L'artista in Norvegia (foto Ernst Vikne)
L'artista in Norvegia (foto Ernst Vikne)
L'artista in Norvegia (foto Ernst Vikne)

Si intitola semplicemente Me, cioè "io" (Mondadori, 2019, euro 24, pp. 384. Anche Ebook) e ha il pregio di non insistere troppo sui grandi successi musicali, sulle benemerenze e i titoli rastrellati da Sir John in decenni di onorata carriera. Per quelli, in fondo, basta scorrere la pagina di Wikipedia dedicata al musicista per trovare già tutto.

Viceversa, il libro si fa leggere con gusto perché vi ritroviamo l’uomo Reginald Dwight e non solo il personaggio, la "maschera" Elton John. Così le pagine più dense ed emozionanti di questa biografia sono poi quelle dedicate all’infanzia e all’adolescenza della futura star. Anni trascorsi in un quartiere di periferia e segnati dai difficili rapporti coi genitori, la madre anaffettiva e il padre poco presente ma capace di incutere vero terrore nel giovane Reginald, con il suo fare autoritario e a tratti anche violento. Così come belle sono le parti dedicate alla gavetta fatta di esibizioni in pub scalcinati, di rifiuti da parte di discografici ma anche di una creatività vitalissima e selvaggia che porta il giovane Elton a scrivere decine di pezzi tra cui capolavori assoluti come Your Song del 1970. Intensi sono poi i capitoli in cui l’autore racconta la dipendenza, durata anni, dalle droghe e dall’alcol e il lungo cammino di disintossicazione che lo ha portato a recuperare il controllo della propria psiche e del proprio corpo.

Meno felici sono le pagine sugli aspetti più conosciuti della vicenda umana della popstar: il legame con Lady Diana e Versace, il matrimonio con il regista canadese David Furnish, il rapporto con i figli e con altre icone della musica come John Lennon o Freddie Mercury. Qui gli aneddoti abbondano ma prevale una sensazione di lezioso "volemose bene", di zuccherosi buoni sentimenti messi in fila così da non scontentare nessuno e soprattutto mantenersi nei binari di un ostentato politically correct progressista.

Alla fine, l’Elton John pubblico – eccessivo, istrionico ma anche geniale e carismatico – è quasi risaputo. Il libro merita, invece, per quello che dice - oppure lascia semplicemente intendere - sull’universo privato di un uomo che per quanto abbia conquistato il mondo con le sue canzoni rimane in molti aspetti ancora oggi semplicemente e fragilmente Reginald Dwight.

La copertina
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