Quella mattina di settembre Vaci Utca, il cuore elegante di Budapest, si presenta con un'aria diversa. L'aspetto sonnacchioso del weekend lascia il posto a un viavai continuo e inatteso. Tra le strade della capitale ungherese compaiono tanti tedeschi. Decine, centinaia: perlopiù giovani, tutti della Repubblica democratica, tutti con una valigia in mano. Sergio, Beppe e Gino, tre studenti universitari di Cagliari, tra i 22 e i 23 anni, sono all'ultimo giorno di vacanza nella città sul Danubio. C'è da prendere un treno per Vienna, poi per Colonia, poi per Amsterdam: la filosofia del biglietto Interrail porta da una parte all'altra parte dell'Europa nell'ultima estate degli anni Ottanta. Ma i piani dei giovanotti sardi devono fare i conti con la folla che si riversa alla stazione di Keleti: centinaia di persone sono in coda, proprio per salire sui treni verso l'Austria.

Tedeschi dell'Est in fuga in Ungheria nel 1989 (foto Zasso)
Tedeschi dell'Est in fuga in Ungheria nel 1989 (foto Zasso)
Tedeschi dell'Est in fuga in Ungheria nel 1989 (foto Zasso)

«Non lo sapete?», racconta Irma, vent'anni e un inglese approssimativo, «Al confine di Hegyeshalom non ci sono più controlli. Possiamo andare in Europa». L'Europa libera. Il tam tam euforico sembra superare la realtà: solo pochi giorni prima i controlli al confine erano spaventosi. I militari ungheresi setacciavano i bagagli e rilanciavano un tormentone sinistro. «No Visa, no train». In tanti sono stati costretti a scendere al confine nel mezzo del nulla. Ed era solo la porta d'entrata nei Paesi blocco sovietico. Figuriamoci l'uscita. «Mi sembra molto strano», sussurra Beppe, muovendosi nella calca verso il treno, tenendo stretto il passaporto italiano e il visto turistico rilasciato dall'ambasciata ungherese a Vienna dopo tre giorni d'attesa. In realtà, una ventina di giorni prima, dopo Ferragosto, c'era già stato un segnale che aveva acceso le speranze dei cittadini della Germania Est, col famoso Picnic dell'Amicizia, tra un migliaio di austriaci, ungheresi e soprattutto tedeschi riuniti nelle campagne lungo il confine austro-ungherese: per tre ore venne aperta le frontiera e centinaia di tedeschi orientali si diedero alla fuga. Il treno di quel 10 settembre è strapieno, si viaggia in piedi, c'è un'atmosfera leggera, si parla solo in tedesco. Traspare anche un po' di apprensione nei chilometri che mancano alla frontiera. I militari ungheresi sono sul treno, ma hanno modi diversi da quelli della settimana prima. Quel dieci settembre appaiono più rilassati, accondiscendenti. Ci vuol poco per avere la conferma.

Attesa alla stazione Keleti di Budapest per le prime partenze dei tedeschi dell'Est verso l'Austria nel 1989 (foto Zasso)
Attesa alla stazione Keleti di Budapest per le prime partenze dei tedeschi dell'Est verso l'Austria nel 1989 (foto Zasso)
Attesa alla stazione Keleti di Budapest per le prime partenze dei tedeschi dell'Est verso l'Austria nel 1989 (foto Zasso)

Al confine con l'Austria i controlli ci sono, passeggero per passeggero, ma perdono quasi d'incanto il rigore sordo dei trent'anni precedenti: la frontiera si apre, passa il treno, si apre un varco nella cortina, i tedeschi della Ddr esultano. «Unbelieveble», urlano Irma e l'amica Marita. Gioiscono, piangono, è la fine di un incubo. Passano poche settimane, le crepe nel sistema totalitario della Ddr si fanno ogni giorno più evidenti, le frontiere cominciano ad aprirsi anche in Cecoslovacchia. La svolta che fa il giro del mondo in pochi istanti arriva il 9 novembre.

È giovedì sera, il crescendo di indiscrezioni e di aperture politiche dei giorni precedenti diventa un punto fermo della storia del Novecento verso le 19, con la conferenza stampa che formalizza la fine dell'incubo: Gunter Scharbowski, portavoce dell'Ufficio politico della Ddr, rivela che la frontiera è ufficialmente aperta e consente ai tedeschi dell'est di muoversi liberamente verso la Germania Ovest. «Le autorizzazioni saranno concesse senza formalità ai posti di frontiera. Finisce un buio lungo ventisette anni, si scatena una festa che travolge tutta la popolazione di entrambe le Germanie.

Un'immagine del Muro di Berlino il 10 novembre del 1989 (foto Zasso)
Un'immagine del Muro di Berlino il 10 novembre del 1989 (foto Zasso)
Un'immagine del Muro di Berlino il 10 novembre del 1989 (foto Zasso)

Nel giro di poche ore arriva anche il momento del piccone. Il Berliner Mauer cade giù pezzo dopo pezzo. Si dissolve la barriera voluta nel 1961 dal governo della Repubblica democratica per impedire la libera circolazione nella città ancora controllata dalle forze alleate. Dalla sera alla mattina la parte sovietica era stata isolata dalla parte occidentale della città, vigilata da Stati Uniti, Francia e Inghilterra. E' l'evento simbolo che formalizza la Guerra fredda nata all'indomani del secondo conflitto mondiale, con due anime ideologiche e militari contrapposte, nate e cresciute sotto il respiro pesante degli Stati Uniti da una parte, dell'Unione sovietica dall'altra. Ventott'anni di divisioni, anni di fughe clandestine, di morti: 133 dicono i numeri ufficiali della Ddr, ma sono molte di più le vittime cadute sotto il Muro orientale in nome della libertà. Il 9 novembre del 1989 la storia cambia: la cortina di cemento che divide Berlino viene demolita pezzo dopo pezzo da migliaia di persone: "Die mauer ist weg", il muro non c'è più, è il tormentone che riecheggia nella città divisa per troppi anni nel nome di uno scontro che ha portato a conseguenze grottesche nel cuore della Germania, costretta a pagare un dazio lungo quasi mezzo secolo per gli orrori del Nazismo di Hitler.

È una bella giornata d'autunno il 10 novembre: fredda ma con un sole che illumina la storia. La festa più attesa ha attraversato tutta la notte, sino al risveglio: i giovani con gli occhi assonnati si aggirano da una parte all'altra del confine ancora con le bottiglie di spumante di mano. In quelle ore frenetiche, a Berlino c'è anche una giovane studentessa universitaria di Cagliari: «I tedeschi dell'Est si aggirano nella parte occidentale della città con aria stralunata», racconta sull'Unione Sarda di trent'anni fa Cristina Marras, 24 anni. «Hanno la macchina fotografica a tracolla e immortalano tutto quello che incontrano come fossero miraggi. Si fermano estasiati davanti alle edicole con i giornali di ogni parte del mondo, vengono colpiti dagli scaffali dei supermercati, prendono d'assalto i negozi di dischi. C'è un'atmosfera indescrivibile». La caduta del muro spazza via ogni divisione e il processo della riunificazione tedesca si compie nel giro di pochi mesi. Decisiva è l'entrata in vigore, il 1º luglio del 1990, del Trattato sull'unione monetaria, economica e sociale, con il tasso di conversione tra marco dell'est e marco dell'ovest pari a 1 a 1.

Negli stessi giorni prende forma anche il Trattato di Unificazione, con i negoziati tra le due Germanie e le quattro potenze occupanti (Francia Inghilterra, Stati Uniti e Unione Sovietica): viene garantita la piena indipendenza allo stato tedesco riunificato. In realtà più che una fusione è l'annessione da parte della Germania Ovest dei cinque Länder della Germania Est e di Berlino Est: una scelta dettata dalla necessità di velocizzare la riunificazione, senza passare attraverso nuovi trattati internazionali. Berlino diventa la capitale di tutti, per la Germania si chiudono definitivamente i conti col Novecento dei conflitti mondiali, degli orrori figli di un'ideologia folle, della Guerra fredda. Il cuore dell'Europa riprende a battere.
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