A volte, anzi troppo spesso, sul web diamo il peggio di noi. Sui social ci lasciamo andare a commenti gratuiti, non ci facciamo problemi a lanciare insulti e a essere aggressivi quasi che il mondo virtuale fosse estraneo alla vita reale e ci consentisse una libertà che solitamente non abbiamo.

È un errore che facciamo noi adulti ed è facile che facciano i nostri giovani, oramai totalmente immersi nel mondo della comunicazione digitale e virtuale. In un certo senso Internet sembra deresponsabilizzare chi lo usa oltre a togliere freni e inibizioni. Una foto postata, infatti, può fare felice la persona che la riceve oppure farla star male se non aveva alcun desiderio di rendere pubblica quell’immagine. Un post può farci ridere o turbarci oppure può farci star male se dice qualcosa di pesante sul nostro conto. Insomma, pare quasi banale a dirsi ma va ripetuto perché spesso un po’ tutti ce ne dimentichiamo: ciò che è virtuale è anche reale, ha sempre delle conseguenze sulla vita reale, in positivo oppure in negativo.

Partendo da questa semplice considerazione Carlotta Cubeddu (cagliaritana doc) e Federico Taddia hanno preparato una breve guida alla comunicazione non ostile, ideata e scritta appositamente per i più giovani ma adatta anche a noi adulti. Così Penso, Parlo, Posto (Il Castoro, 2019, Euro 12,50, pp. 166) già dal titolo propone una strada per impostare la nostra comunicazione. Una strada che parte dal pensiero, cioè dalla riflessione prima di arrivare alla parola e poi eventualmente alla diffusione di quanto abbiamo pensato attraverso uno strumento potentissimo come Internet.

Grazie a brevi racconti e a tanti spunti di riflessione, a molte domande e qualche risposta come punto fermo i due autori provano allora a costruire una via nuova per stare meglio con se stessi, provare a stare meglio con gli altri e ridurre, anche grazie a un uso più consapevole della parola, l’incomunicabilità che ci circonda nonostante le tante vie di comunicazione offerte dalla moderna tecnologia. Punto fermo di tutto il libro è la necessità prima di tutto di porci domande e di mettere seriamente in discussione il nostro modo di porci in relazione con gli altri. Domande, quelle proposte da Cubeddu e Taddia, semplici e allo stesso tempo profonde, interrogativi che ci devono sempre attraversare nel momento in cui ci confrontiamo con gli altri: "Cosa voglio dire quando mi esprimo in un determinato modo? Sono consapevole del senso dei miei discorsi?". E ancora: "Alzo immediatamente dei muri oppure sono disposto a mettermi in gioco?".

Insomma, se vogliamo veramente comunicare in maniera diversa dobbiamo partire prima di tutto da noi stessi, provando a metterci in gioco, e magari fare nostro il "Manifesto della comunicazione non ostile" presentato nel libro ed elaborato dall’associazione non profit Parole O_Stili. Un decalogo che ci ricorda che "si è ciò che si comunica", che "prima di parlare bisogna ascoltare", che "le parole hanno conseguenze" e che "le idee si possono discutere. Le persone si debbono rispettare". Proposte di buon senso, simili alle regole di buona educazione che si insegnavano abitualmente un tempo, prima che un po’ tutto, noi compresi, si imbarbarisse.
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