A inizio anno accademico, nel 2018, 2614 aspiranti matricole si sono recate alla Tokyo Medical University, università per futuri camici bianchi ubicata nella capitale del Paese del Sol Levante, per sostenere il test d’ingresso alla facoltà di Medicina e chirurgia.

La ripartizione degli esaminandi era la seguente: 1596 uomini e 1018 donne. Di questi candidati, buona parte degli ammessi ai corsi sarebbero stati di sesso maschile, con un'evidente disparità arrivata non a caso.

"L'Università Medica di Tokyo ha ridotto i punteggi delle donne per mantenere il numero delle matricole di sesso femminile intorno al 30% di quelle totali", la denuncia del giornale giapponese "Yomiuri Shimbum" all'indomani dei test, una lunga inchiesta giornalistica che ha suscitato un vero e proprio terremoto politico e culturale nel Paese.

"Le discriminazioni contro le studentesse di sesso femminile in un test d'accesso sono assolutamente inaccettabili", ha poi dichiarato Yoshimasa Hayashi, ministro dell'educazione del Giappone. E fonti interne all'Università "incriminata", mentre la politica correva ai ripari e l'imbarazzato premier Shinzo Abe prometteva un women's empowerment radicale, parlavano del sessismo misogino come un "male necessario": la gravidanza e l'essere donna costituiscono due ostacoli ai ritmi incalzanti delle aziende ospedaliere.

A un anno di distanza, il cambio di rotta. E il "male necessario" è scomparso. Secondo la testata Quartz, per l'anno scolastico 2019, il 20.2% delle candidate ha superato il test di medicina della Tokyo Medical School. A spingere l’incremento delle quote rosa, la nomina – avvenuta a novembre del 2018 – a rettore dell'Ateneo di una donna, attenta all'equilibrio dei sessi e alla meritocrazia.

Il Giappone resta però il paese economicamente avanzato con meno dottoresse nell'area OCSE e il discorso "gender inequality" si estende anche per altre categorie professionali. Seppure le donne lavoratrici in Giappone (nazione da 126 milioni di abitanti) abbiano surclassato numericamente le donne lavoratrici negli USA (con 201 milioni di abitanti in più), restano ancora molti problemi sociali.

"Gran parte del lavoro femminile (in Giappone) è interinale e relativamente poco pagato (…) e solo il 13% dei manager giapponesi è donna, a detrimento di un robusto 44% a stelle e strisce", ha denunciato l'orientalista Brook Larmer del The International New York Times.

L'Istituto McKinsey ha calcolato che l'aumento delle lavoratrici, e la rottura definitiva del soffitto di cristallo, potrebbe creare dodicimila miliardi di crescita economica entro il 2025, in tutto il Pianeta. Il Giappone, uno dei paesi più progrediti, potrebbe avere una grande influenza nel conseguimento di questo obiettivo.

Ma le esperte mettono le mani avanti. "L'empowerment femminile promosso da Shinzo Abe non ha come fine il benessere delle donne. Bada solo alla crescita economica. Intende impiegare pienamente le donne e usarle come materiale umano", afferma Kaori Katada, una professoressa associata dell'Università Hosei di Tokyo.

Il soffitto di cristallo, dunque, resta ancora, con la politica che stenta – in ogni parte del Mondo – a porre rimedio al problema dei problemi: la presenza, ingombrante, delle disuguaglianze di genere.

Alessio Cozzolino*

* studente liceale - Cagliari
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