Europeista a suo modo, quasi filobritannico, fuori dalle righe ma anche profondamente figlio delle istituzioni che lo avevano scelto per la massima carica dello Stato, chissà come avrebbe visto i risultati delle ultime elezioni europee Francesco Cossiga, il picconatore che, con tutte le necessarie obiezioni del tempo, nutriva una speranza verso il sogno europeo.

Lui come tanti italiani, quelli che quando Cossiga veniva eletto al Quirinale nel 1985 e cominciava il suo drammatico settennato, si scoprivano i più accesi fan dell'Europa e andavano in massa alle urne, battendo i record di affluenza e portando avanti la tradizione più pura del mondo cattolico, socialista e laico.

Guardando ai dati del voto, e in generale alla politica italiana di oggi, tutto ci mostra come ormai quella dimensione sia scomparsa, lontana, aliena. E con lei i suoi protagonisti.

Eppure proprio Cossiga - che da presidente ha visto sette crisi di governo, uno scioglimento di assemblee parlamentari, rinviato 22 leggi e inviato sei messaggi al Parlamento - fu il primo a prefigurare con un certo anticipo che il mondo in cui lui era cresciuto e dove aveva formato la sua cultura politica stava finendo. Lo ha visto finire, e prima che ciò accadesse. Come una premonizione. Ma nessuno gli ha creduto. E sarà costretto a dimettersi, il 25 aprile del 1991, a un passo dalla fine del suo mandato.

"La storia di Cossiga è la storia di una crisi, di un uomo che rompe con il mondo che fino a quel momento lo aveva considerato il migliore, e improvvisamente gli volta le spalle".

A raccontarla è Filippo Ceccarelli, giornalista, scrittore e autore di "Buonasera Presidente", su Rai Storia, che nella puntata di domani sera si concentrerà proprio su Francesco Cossiga. Dietro la puntata c'è un lavoro filologico molto rigoroso, che si basa sulle parole del politico sassarese, con frammenti di video, testimonianze e la recitazione di Antonello Fassari, che interpreta il protagonista della puntata, rispondendo alle domande di Ceccarelli con le parole realmente usate da Cossiga.

Filippo Ceccarelli e Antonello Fassari nella puntata dedicata a Cossiga di "Buonasera Presidente" (foto Us Rai)
Filippo Ceccarelli e Antonello Fassari nella puntata dedicata a Cossiga di "Buonasera Presidente" (foto Us Rai)
Filippo Ceccarelli e Antonello Fassari nella puntata dedicata a Cossiga di "Buonasera Presidente" (foto Us Rai)

Filippo Ceccarelli, cosa avrebbe detto Cossiga dei politici di oggi?

"È solo una mia supposizione, naturalmente, ma io penso che li avrebbe guardati con aristocratico sussiego. Cossiga era una figura di altri tempi, tra i democristiani era il meno provinciale. Con la Lega di Bossi, ad esempio, per quel poco che ne ebbe a che fare, aveva un atteggiamento di superiorità come se lui si sentisse l'erede di una grande tradizione culturale, con radici che affondavano nella prima democrazia cristiana. È vero che fu il primo a cambiare il linguaggio politico, ma in un modo diverso rispetto a oggi".

In che senso?

"Fu certamente il primo a spettacolarizzare il suo personaggio, a usare un linguaggio molto semplificato. Magari con qualche caduta, ma mai nella volgarità, dire piuttosto nel prosaico. Eppure era un uomo di vaste letture, di grande conoscenza, dalla teologia, al diritto, alla storia politica. Anche nei suoi eccessi, aveva una sua dimestichezza. E quindi, per rispondere alla domanda, qualcosa mi dice che si sarebbe sentito superiore in nome di una cultura altra".

Con Giulio Andreotti (Ansa)
Con Giulio Andreotti (Ansa)
Con Giulio Andreotti (Ansa)

Oggi il linguaggio poco istituzionale avvicina i politici agli elettori. E all'epoca?

"Lo specifico dell'esperienza presidenziale di Cossiga sta nel fatto che ha avuto due momenti molto diversi tra loro, e li ha potuti sperimentare anche a livello di consenso. Il Cossiga numero 1 è quello che viene eletto da tutto il Parlamento a soli 57 anni. È rassicurante, è di palazzo, è stato presidente del Senato, è un uomo di lettere, è un uomo di giurisprudenza".

Poi?

"Il Cossiga 2 è l'esatto rovesciamento. È il primo in Italia a rivolgersi direttamente al popolo, scavalcando istituzioni e partiti, sollecitando la fine di un regime, quasi ponendosi all'opposizione, e come accade oggi facendo appello ai cittadini contro l'establishment. Nel secondo Cossiga c'è molto di oggi. È stata una metamorfosi quasi teatrale, una storia drammatica che lo rende uno dei più affascinanti protagonisti della storia politica italiana".

Cossiga al McDonald's in una foto del 2004 (Ansa)
Cossiga al McDonald's in una foto del 2004 (Ansa)
Cossiga al McDonald's in una foto del 2004 (Ansa)

Cos'è che lo ha spinto a cambiare?

"Era come se percepisse una specie di sensore, il terremoto che stava per arrivare. Aveva intravisto la disfatta di un'intera classe politica e prima che questa venisse travolta ('Il muro di Berlino è crollato anche su di noi', disse una volta) aveva fatto in tempo a sollecitare contro questa stessa disfatta la necessità di riforme istituzionali. Il problema è che non fu capito. Anzi fu combattuto, gli diedero del matto: 'Non sono matto - rispondeva lui - sono il finto matto'".

Quale fu la sua reazione?

"Attaccava tutti a testa bassa con nomi e cognomi, anche qui anticipando la personalizzazione del potere. Forse i fatti di cui stiamo parlando sono ancora troppo vicini. Ma quando passerà altro tempo si capirà che la sua è stata una zona di confine tra qualcosa che stava finendo e qualcosa che cominciava".

Enrico Berlinguer e Francesco Cossiga (Ansa)
Enrico Berlinguer e Francesco Cossiga (Ansa)
Enrico Berlinguer e Francesco Cossiga (Ansa)

Cosa si percepiva del suo essere sardo?

"Tantissimo. Aveva un'identità molto forte e molto particolare. Sassarese, amava ripetere. E difatti, attraverso Cossiga, gli italiani hanno capito che non esistono i sardi, esistono tanti tipi di sardi. Una delle sue peculiarità era la 'cionfra', la chiacchiera un po' tignosa, spiritosa, colta, arguta. 'Vengo da un paese dove è amaro anche il miele', disse una volta e quell'affermazione mi colpì profondamente. Aveva un senso dell'onore più vivo che negli altri politici, una durezza che era disposto però ad ammorbidire. Era una persona sensibile, anche timida in un certo senso, che non amava mentire e che si batteva per la verità".

Angelica D'Errico

(Unioneonline)
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