Nuovo appuntamento internazionale per Salvatore Garau. L'artista sardo, nel ruolo inedito di regista, dopo la partecipazione al film festival di Nuova Delhi è stato invitato al Portugal International Film Festival 2019 in programma dal 16 al 18 maggio nella città di Porto.

Ad essere proiettato sarà il docufilm "La Tela", interamente girato all’interno del carcere oristanese di Massama.

Un’esperienza che ha visto confrontarsi due esistenze, quella dell’artista e uomo libero con quella dei detenuti, mettendo su "tela bianca" un forte scambio di energie nato da un'idea condivisa.

Il risultato è una "doppia" opera, pittorica e filmica, di grande impatto visivo ed emotivo.

Un'istantanea dalle riprese (foto ufficio stampa)
Un'istantanea dalle riprese (foto ufficio stampa)
Un'istantanea dalle riprese (foto ufficio stampa)

"La creatività è apertura spirituale – spiega Salvatore Garau - richiede concentrazione, il più delle volte solitudine. Questa condizione è essenziale non solo per gli artisti, ma per tutti. Le riprese di un film sulla creazione di una grande quadro, insieme a persone che non avevamo mai dipinto nella loro vita e detenute, non hanno potuto, inizialmente, avere uno schema preciso. Tutto è stato inevitabilmente filtrato dalle sensazioni e dalle emozioni di chi vive in un contesto in cui si è privati della propria libertà mentale e spirituale ancor prima che fisica".

Nelle intenzioni di Salvatore Garau non c'è mai stata la volontà di creare un documentario sulla "situazione delle carceri", né tanto meno l'intenzione di giudicare o rendere eroi i detenuti. Per l'artista l'obiettivo è uno solo: creare un'opera al di fuori della retorica e con una tensione artistica a sé stante e capace di far comprendere che, per chi tutti i giorni convive con una pena materiale e anche psicologica, dipingere e raccontare può essere la chiave di volta per alimentare la mente e stimolare il pensiero.

Spiega il direttore della fotografia Fabio Olmi: "L'arte è una valvola di sfogo fondamentale a quel cumulo di speranze e solitudini che regolano e riempiono il tempo dei detenuti. Un modo per riscoprire una parte di sé che non si riconosceva più e per prendere consapevolezza della propria unicità, nonostante una condizione carceraria che porta a annullare le individualità, rendendo uomini e donne tutti uguali".

(Unioneonline/v.l.)
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